Coronavirus: quali possono essere gli effetti psicologici?

di Redazione Zerottouno News

(a cura della dott.ssa Anna Restaino) Nel variegato mondo della psicologia risulta difficile spiegare il concetto di condizione psicologica riducendolo a categorie rigide, in quanto abbraccia tutte le possibili manifestazioni psicologiche di ogni soggetto; anche provando a limitare lo sguardo alla situazione che tutti stiamo vivendo, dove si condividono regole e modalità, non è possibile generalizzare la reattività psicologica delle persone che la vivono. Proviamo tuttavia a pensare a come noi stiamo vivendo questa “quarantena” e come la vivono le persone vicine a noi. Indubbiamente per tutti rappresenta una limitazione di libertà, di movimento e scelta, mentre per molti ha determinato un blocco totale, pensiamo alle attività lavorative, ai viaggi, alle uscite goliardiche, agli incontri con il proprio partner o familiari.

Gli effetti

Stati ansiosi, depressivi, difficoltà del sonno o emozioni quali paura e angoscia possono presentarsi più frequentemente in questa condizione improvvisa di deprivazione e incertezza, ma non è scontato che sia così. In relazione a ciò non mi sento di poter affermare con fermezza che possono svilupparsi forme psicopatologiche, in quanto la Psicologia Clinica non indica con certezza che una persona piuttosto che un’altra sicuramente presenterà una sintomatologia, ma mi sento di poter dire che potrebbe capitare che una situazione così sconosciuta e “squilibrante” possa intensificare dei tratti di personalità già presenti in noi oppure, che in persone che non hanno mai fatto esperienza di sintomi comuni, quali ansia o attacco di panico o fobia, possano in questa situazione esperirli.

Le patologie pregresse

E’ tuttavia vero che tanti di noi, già prima della quarantena, invece lavorano sui propri sintomi e sulle sensazioni che provano quotidianamente. Alcune psicopatologie, o più lievi sintomi vissuti da alcuni soggetti, in questo contesto possono peggiorare o esacerbarsi, la prima motivazione potrebbe essere la minore disponibilità delle strutture sanitarie, gli operatori fanno il possibile per esserci e contenere ma come possiamo immaginare c’è un limite reale che tutti conosciamo, di conseguenza ci si può sentire soli. Si può dedurre che chi di noi vive sintomi e stati emotivi importanti nella vita di tutti giorni, accede al servizio sanitario pubblico o privato svolgendo percorsi terapeutici o riabilitativi e così facendo riesce a gestire o risolvere le proprie difficoltà, in questo momento non può farlo come da protocollo e già questo è motivo di vulnerabilità maggiore a uno scompenso. Per tutte le persone che hanno diagnosi psichiatriche, adulti o adolescenti che siano, questo periodo potrebbe portare un aumento della difficoltà di autogestione e di gestione da parte delle famiglie soprattutto nei casi di esordio o dove una diagnosi conclamata non c’è e non si hanno gli strumenti per fronteggiare il disagio, si pensi ad esempio alle dipendenze patologiche.

Le persone sole

Sono tante le persone che a causa della quarantena sono costrette a rimanere sole in casa, i casi sono diversi: gli anziani, che indubbiamente hanno limitazioni maggiori, o i più giovani per i quali forse la solitudine è più emotiva e affettiva che pratica. Porrei l’attenzione su un aspetto che a volte diamo per scontato ma che forse tanto scontato non lo è, cioè la possibilità che il singolo si dà nel chiedere aiuto. Mi sembra che è più facile reperire chi si preoccupa di aiutare che chi chiede aiuto, perché succede? Dovremo provare a darci la possibilità di dire a noi stessi che in questa situazione abbiamo bisogno di aiuto, sia per difficoltà fisiche che psicologiche, e che farsi aiutare è sano e produttivo. Avere una fragilità in un momento specifico non significa essere totalmente fragili né esserlo per sempre.

I suicidi

Negli ultimi giorni abbiamo sentito tante notizie tristi di casi di persone che si sono tolte la vita. Il suicidio è un tema socialmente delicato e clinicamente è difficile poter trovare una causa o una motivazione unica che spinge una persona a scegliere di fare un gesto del genere. Gli studi sull’argomento dicono che una percentuale alta di persone che scelgono di suicidarsi hanno nella loro storia di vita esperienze di disturbi psicopatologici ma non che tutte le persone che scelgono di farlo li abbiano. Una scelta è legata alla persona che la fa, non possiamo sapere cosa ha portato quella persona a perdere desiderio e piacere nelle cose, non possiamo sapere come ogni cosa ha perso valore o come si è strutturata l’idea che non ci fosse più niente da fare; è difficile e complicato poterlo comprendere per chi non lo vive ma probabilmente per quella persona è stato così. In momenti di emergenza e crisi come questo può esserci una maggiore vulnerabilità per chi ha una certa delicatezza emotiva, è più pericoloso per persone che hanno una storia alle spalle di esperienze traumatiche o emotivamente impegnative ma non è scontato che sia così.

Lo stato psicofisico degli operatori sanitari

Un pensiero va agli operatori sanitari che tanta fatica fanno in questo momento, per loro forse inaspettato, e provo a immaginare quello che pensano e sentono. Sembra a volte che chi li guarda dall’esterno dia per scontato che debbano dedicarsi a questa emergenza, come se la loro scelta di svolgere l’attività di infermiere o medico li abbia automaticamente costretti a partecipare attivamente. Credo che tutti possono scegliere ascoltando sè stessi, riflettere se sentono di poter fare o meno una missione di questo tipo; non è scontato che un operatore sanitario riesca a sostenere tutta questa situazione; non è scontato che la pesantezza dell’angoscia della morte vista, della paura del contagio o della responsabilità nel contagiare l’altro, debba essere da loro sostenuta in maniera aprioristica solo perchè nella vita hanno scelto questo mestiere. Quell’uomo o quella donna potrebbe non riuscirci, e se sceglie di non farlo, ha fatto ugualmente una gran fatica a poterlo capire e ammettere, agli altri come a sè stesso. Sottovalutando ciò che sentiamo, e non permettendo a noi di sentirci vulnerabili, può essere pericoloso e ingiusto per sè stessi. Spesso si vive in questo conflitto perenne tra ciò che idealmente vorremmo essere, influenzanti dall’ideale esterno, e ciò che siamo, combattuti tra un giusto per sé e un giusto per l’altro, tra un buono e un cattivo. In questo momento di blocco ancora di più potremmo vivere questa conflittualità e per questo dobbiamo provare a fare attenzione e a prenderci cura prima di tutto di noi stessi per essere maggiormente attenti all’altro.

Cosa succederà dopo?

Pensando alla fine di questa vicenda (pensiero che credo molti abbiano in mente), vorrei riflettere con voi sul concetto di tempo. La filosofia distingue due tipi di tempo: il tempo esterno, oggettivo, scandito in ore e minuti, impersonale, e il tempo interno, quello vissuto da ognuno di noi, soggettivo e modulato dalle emozioni. In questo momento è come se il tempo esterno continui a essere tale, mentre il tempo vissuto ci appare diverso e fortemente influenzato dall’esterno. Il tempo vissuto è come noi soggetti lo percepiamo in ciò che viviamo, gli diamo un senso e uno spazio. In questo periodo sembra che la nostra attenzione si sia concentrata sul tempo futuro: seguiamo le notizie, ci informiamo su ciò che succederà e aspettiamo quando questo finirà, costruiamo sull’immaginazione come potrebbe essere e ci chiediamo quanto questa esperienza ci avrà segnati. L’esterno ci porta a stare nel futuro e questa incertezza mista a paura può fortemente preoccupare. Sant’Agostino credeva che il futuro fosse l’azione dell’attesa, attesa presente di ciò che sarà. Nelle nostre vite quotidiane, pensando al futuro, non sappiamo cosa accadrà, costruiamo giorno per giorno ciò che pensiamo possa essere giusto e utile per noi, ci proviamo ma non siamo sicuri che succeda. Oggi forse questa sensazione è più forte ma noi possiamo provare a riflettere su sul nostro percorso di vita, pensiamo al passato e a quello che siamo e che abbiamo, lasciamo per un attimo fuori quello che non dipende da noi e così facendo potremo vedere realmente chi siamo, cosa abbiamo costruito nel lavoro, nelle relazioni sociali, familiari, di coppia e, nonostante questo disastro esterno, cosa ci abbia oggettivamente colpito. Sappiamo che “noi siamo noi” nonostante le incertezze. Il cambiamento spaventa, angoscia, disillude, la perdita è frustrazione e porta rabbia anche a chi non è solito provarla. L’inaspettato, il diverso, lo sconosciuto angoscia, ma allo stesso modo ci permette di muoverci, di inventare, di crescere e di conoscere.

Cosa fare?

Proviamo a evitare il più possibile che questo blocco di movimento fisico ed esterno ci porti a fermare il nostro meraviglioso movimento interno, non permettiamo a noi stessi di farci incastrare nella paura di ciò che succederà, è sano provare paura ma non deve diventare invasiva e coprire tutto il resto che potremmo provare ognuno di noi per quello che siamo. Il mio intento non è sminuire i danni, le perdite, le emozioni forti e pervasive provate, non vorrei togliere il peso che il nuovo coronavirus COVID-19 ha gettato su ognuno di noi senza che nessuno potesse reagire. Alla fine di tutto questo, ci chiediamo, torneremo alla vita normale? Io, personalmente, dico che la vita che fino ad ora ho sentito normale è la vita che ho svolto io nel mondo che mi circonda, con più o meno consapevolezza. Quindi quello che succederà dopo immagino che sarà la mia nuova vita normale, per alcuni con nuove scoperte, per altri con perdite che con sofferenza ci permetteranno di reinventarci, per altri rimarrà un’esperienza che ha purtroppo segnato ma non travolto e per alcuni avrà sconvolto in maniera fortemente traumatica. Indubbiamente, tutto come prima non tornerà, ma mi sento anche di dire che i cambiamenti non lasciano mai tutto uguale, tolgono e mettono. Si perde, è vero, ma si conquista anche.

Laureata in Psicologia Clinica all’università di Urbino “Carlo Bo”, la dottoressa Anna Restaino è specializzata in psicoterapia presso la SIPRE – Società Italiana Psicoanalisi della Relazione con sede a Roma. Ha uno studio privato di psicoterapia per adolescenti adulti e coppie a Casamarciano e Roma, svolge inoltre attività da libero professionale presso il centro di psichiatria e neuropsichiatria convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale “Centro Berger” a Brusciano.

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