Quanto conviene in Italia unirsi e convivere senza sposarsi?

di Carolina Cassese

Come tutelarsi se non si è sposati? Sono sempre di più le coppie che in Italia scelgono la convivenza. Il legislatore ha cercato di proteggere anche le famiglie non fondate sul matrimonio, a condizione che:

  • condividano lo stesso tetto, deve trattarsi di una coppia che abita stabilmente nel medesimo appartamento;
  • siano unite da un rapporto sentimentale;
  • non siano legate da un vincolo di matrimonio o di unione civile;
  • non ci sia alcun rapporto di parentela, affinità o adozione;
  • sussista l’assistenza morale e materiale reciproca.

Ma quale tutela è prevista a favore delle coppie non sposate? I conviventi possono rilasciare una dichiarazione congiunta all’ufficio Anagrafe del proprio Comune per ottenere il certificato di residenza e lo stato di famiglia. Tale adempimento attribuisce alla coppia i seguenti diritti:

  • visita al partner detenuto in carcere;
  • assistenza al convivente ricoverato in ospedale e possibilità di ottenere informazioni sul suo stato di salute;
  • subentro nel contratto di locazione in caso di morte del partner intestatario;
  • partecipazione alla gestione dell’attività dell’impresa familiare;
  • assistenza morale e materiale da parte del convivente;
  • risarcimento del danno in caso di morte del compagno a causa di illecito di terzi;
  • assegno periodico per gli “alimenti” in caso di cessazione della convivenza a condizione che si versi in stato di bisogno al punto da non avere mezzi di sostentamento.

La coppia può stipulare un contratto di convivenza, ovvero un atto pubblico o scrittura privata autenticata, per disciplinare gli aspetti patrimoniali della vita in comune, come la contribuzione alle spese della famiglia, la nomina del compagno in qualità di tutore, curatore o amministratore di sostegno, la rappresentanza in caso di malattia, l’uso della casa, gli acquisti compiuti durante la convivenza. Stipulato il contratto di convivenza, le parti dovranno registrarlo al Comune di residenza dove convivono. In presenza di figli si applicano le stesse regole per le coppie sposate in materia di mantenimento e affidamento. Pertanto, in caso di separazione, l’ex convivente economicamente più forte dovrà versare all’altro un assegno periodico per il sostentamento dei figli.

Ai conviventi di fatto sono però negati diversi diritti:

  • il diritto all’assegno di mantenimento. In caso di separazione e cessazione della convivenza, il partner in stato di bisogno può domandare solo gli alimenti qualora si trovi in serie difficoltà economiche;
  • il diritto all’eredità del partner. Qualora il defunto abbia nominato il partner nel testamento, a quest’ultimo spetterà una parte della quota disponibile, cioè quella non riservata ai familiari più stretti;
  • il fondo patrimoniale, riservato unicamente alle persone unite in matrimonio. La legge consente comunque ai conviventi con figli la possibilità di istituire un trust;
  • l’obbligo di fedeltà con la conseguenza che in caso di tradimento, il partner non può chiedere al giudice l’addebito della separazione (ossia l’attribuzione della colpa per la fine della convivenza) o il risarcimento del danno;
  • la pensione di reversibilità del convivente defunto;
  • l’adozione di minori.

La cessazione della convivenza può invece avvenire in caso di:

  • decesso di uno dei conviventi;
  • matrimonio oppure unione civile di uno dei partner;
  • fine della coabitazione;
  • estinzione dei legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale

La cessazione della convivenza deve essere dichiarata al Comune di residenza con apposito modulo. In questo caso, il partner in stato di bisogno ha il diritto di chiedere ed ottenere gli alimenti, ovvero una somma periodica per il vitto, le medicine e l’alloggio. Se ci sono figli, la coppia potrà raggiungere un accordo sull’ affidamento della prole e la casa potrà essere assegnata all’ex partner che convive con  i  figli anche se non è proprietario dell’immobile.

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