Nel cuore della crisi religiosa che scosse l’Europa nel XVI secolo il Concilio di Trento rappresentò una risposta decisiva della Chiesa Cattolica a una sfida che minacciava di travolgere secoli di tradizione e autorità papale. A conti fatti, la risposta che venne fuori incontrò rinvii e resistenze di ogni tipo, almeno fino al 19 marzo 1562, quando si decise che si sarebbe dovuti arrivare fino in fondo.
Il papa che indisse il Concilio di Trento fu Paolo III. La sua proposta di indire un Concilio trova il sostegno di alcuni principi tedeschi, giacché si pensava che potesse essere un’occasione per ricucire lo scisma luterano. Il Concilio si svolse in tre fasi. La prima (1546-1547) affrontò le questioni urgenti della Riforma luterana; le sessioni del 1551-1552, tenutesi a Bologna a causa di un’epidemia di tifo a Trento, sono considerate parte di questa fase. La seconda fase iniziò con l’elezione di Giulio III, con una prevalenza di vescovi imperiali, e vide la revisione dei decreti precedenti. Nella terza fase (1562-1563), sotto Marcello II e Paolo IV, il Concilio rimase inattivo per la loro diffidenza verso questo strumento. Il Concilio in questa fase, con questi due papi, rimase silente, non ci furono riunioni né documenti prodotti.
Dopo un decennio di pausa, il 19 marzo 1562, sotto Pio IV, il Concilio riprese con l’obiettivo di concludere i lavori. In questa fase prevalsero gli esponenti della curia romana, che revisionarono la documentazione precedente in un’ottica curiale. Il risultato fu l’istituzionalizzazione di un programma di restaurazione che sanciva la centralità di Roma nel mondo cristiano e la teocrazia papale, che era stata il sogno perseguito da pontefici come Innocenzo III, Gregorio IX, Bonifacio VIII e che venne quindi elevata a sistema. La terza sessione riaffermò il credo niceno-costantinopolitano e la sacralità della Vulgata, imponendo l’uso esclusivo della Bibbia in latino e vietandone la lettura e l’interpretazione personale ai non sacerdoti.
Il Concilio stabilì che il battesimo avrebbe eliminato il peccato originale, ma non l’inclinazione al peccato, rendendo necessarie le buone opere e i sacramenti per rafforzare l’anima. Solo attraverso i sacramenti, amministrati dalla Chiesa Cattolica, ci si può tenere lontano il peccato. Venne imposto l’obbligo di residenza dei vescovi nelle proprie diocesi e ribadita la dottrina dei sette sacramenti, considerati istituiti da Gesù (su questo, invece, Lutero la pensava diversamente). Inoltre, fu riaffermato che l’efficacia del sacramento non dipende da chi lo amministra, riprendendo la teoria di Pier Damiani.
Il Concilio di Trento ribadì la presenza reale di Cristo nell’eucaristia e la dottrina della transustanziazione, confermando inoltre l’indissolubilità del matrimonio e il celibato ecclesiastico. Venne definito il ruolo dei parroci, responsabili delle parrocchie, che dovevano tenere registri di battesimi, cresime e sepolture, fondamentali per studi demografici e di controllo territoriale. Fu imposto ai vescovi l’obbligo delle visite pastorali, come è ancora oggi. La pratica delle indulgenze venne approvata e la dottrina del purgatorio divenne dogma di fede. Infine, furono istituiti i seminari per la formazione del clero, tra cui il prestigioso Collegio Romano.
Il Concilio di Trento definì, infine, il canone della Bibbia, considerandola divinamente ispirata da Dio. Lo Spirito Santo agì sia negli autori biblici che nei padri conciliari, guidandoli nella definizione del canone, in adesione alla “purezza del Vangelo“. Vengono considerati canonici tutti quei testi che, all’interno della Bibbia ebraica e cristiana, possono essere utilizzati come strumento per accreditare o definire le tradizioni apostoliche, cioè la successione apostolica.
La visione del Concilio si oppone fermamente alla prospettiva protestante, che ritiene il canone biblico valido solo per i testi nelle lingue originali. In contrasto, i cattolici accettano come ispirata la Bibbia di Girolamo, la traduzione latina (si intende la Vulgata), che include anche testi non presenti nelle lingue originali; per questo motivo, il canone cattolico è più ampio di quello protestante.
Una fonte di grande rilievo per la ricostruzione del Concilio di Trento è l’Istoria del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi, monaco veneziano dell’Ordine dei Servi di Maria. Sarpi visse in un contesto influenzato dalle idee riformate, anche grazie alla presenza a Venezia di importanti centri di stampa. Umanista e storico, assunse una posizione fortemente critica nei confronti della Chiesa cattolica, pur essendone parte, opponendosi in particolare all’idea del potere monarchico del Papa e difendendo con fermezza l’autonomia della Repubblica di Venezia. La sua opera, che rappresenta una delle fonti più importanti sul Concilio, è caratterizzata da un approccio non apologetico, cioè privo dell’intento di giustificare o esaltare le decisioni conciliari. Proprio per questa impostazione polemica, il testo venne presto inserito nell’Indice dei libri proibiti. Un aspetto rilevante sottolineato da Sarpi è il ruolo centrale della stampa nella diffusione delle idee riformate, tanto che il Concilio stesso arrivò a imporre severe restrizioni sull’uso di questo mezzo di comunicazione, riconoscendone la pericolosità nel contesto delle riforme religiose.
Nel 1564, con la bolla “Benedictus Deus“, il pontefice Pio IV approvò tutti i decreti conciliari e incaricò una commissione di vigilare sulla loro interpretazione e attuazione. Potremmo dire che, più che un concilio, si sia trattato di un insieme di concili. Nella sua lunga durata, il Concilio di Trento, partendo dalla necessità di porre un freno alle riforme del centro-Europa, finì col riflettere su una serie di problemi e questioni che erano, di fatto, interne alla Chiesa Cattolica.