Il boss Giovanni Brusca torna libero per decorrenza dei termini dopo quasi 25 anni. Fu lui ad azionare il telecomando che fece esplodere l’ordigno che provocò la strage di Capaci e la morte del giudice Giovanni Falcone ma fu sempre lui a ordinare lo strangolamento e lo scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un noto pentito. Il boss di San Giuseppe Jato e fedelissimo di Totò Riina, era diventato successivamente collaboratore di giustizia, evitando così l’ergastolo. Ora sarà sottoposto a controlli e protezione e a quattro anni di libertà vigilata.
Diverse le reazioni. Tra le più dure quella di Tina Montinaro, vedova di Antonio Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone: “Sono indignata, sono veramente indignata. Lo Stato ci rema contro. Noi dopo 29 anni non conosciamo ancora la verità sulle stragi e Giovanni Brusca, l’uomo che ha distrutto la mia famiglia, è libero. Sa qual è la verità? Che questo Stato ci rema contro. Io adesso cosa racconterò al mio nipotino? Che l’uomo che ha ucciso il nonno gira liberamente? Tutta l’Italia dovrebbe essere indignata ma non succede. Queste persone vengono solo a commemorare il 23 maggio Falcone e si ricordano di Giovanni e Paolo. Ma non si indigna nessuno”.
Invitano alla calma invece la sorella del giudice Falcone e il magistrato e politico Pietro Grasso, che ha affermato: “Non c’è nessuna forma di buonismo o perdono da parte mia nei confronti di Giovanni Brusca: oltre a tutto ciò che sapete, agli omicidi e alle stragi in cui ho perso colleghi e amici, avrei anche motivi strettamente personali per serbare rancore. Lui e altri collaboratori hanno raccontato, tra gli altri, due episodi che mi riguardarono direttamente: l’organizzazione di un attentato nell’autunno del 1993 che doveva farmi saltare in aria mentre andavo a trovare mia suocera a Monreale e la pianificazione del rapimento di mio figlio. Il dolore e la rabbia delle vittime e dei loro familiari lo comprendo e lo rispetto nel profondo. Eppure non vedo scandalo nella notizia di ieri, peraltro nota e attesa da molti anni. Con Brusca, infatti, lo Stato ha vinto non una ma tre volte. La prima quando lo ha arrestato, perchè era e resta uno dei peggiori criminali della nostra storia per numero di reati e ferocia. La seconda quando lo ha convinto a collaborare: le sue dichiarazioni hanno reso possibili processi e condanne e hanno fatto emergere pezzi di verità fondamentali sugli anni in cui Cosa nostra ha attaccato frontalmente lo Stato. La terza ieri, quando ne ha disposto la liberazione dopo 25 anni di carcere, rispettando l’impegno preso con lui e mandando un segnale potentissimo a tutti i mafiosi che sono rinchiusi in cella e la libertà, se non collaborano, non la vedranno mai“.
“Ora lo Stato dovrà proteggere Brusca – continua – è un dovere perché è importante che Brusca resti vivo e possa andare a testimoniare nei processi. Oltre al punto morale c’è un interesse specifico, quasi egoistico, affinché le sue parole possano essere ripetute nelle aule di giustizia dove servono per condannare mandanti ed esecutori di omicidi e stragi. L’indignazione di molti politici che di codice penale e di lotta alla mafia capiscono ben poco mi spaventa. Se davvero facessero quello che dicono, ovvero ridurre gli sconti per chi collabora con la giustizia, diminuirebbe l’incentivo a pentirsi. Se a questo aggiungiamo che si sta cercando di limitare l’ergastolo ostativo, e lavorerò affinché questo non avvenga, potremo anche dichiarare chiuso il capitolo del contrasto a Cosa nostra. Al contrario, servono sconti di pena forti per chi aiuta lo Stato e prospettiva di ergastolo senza sconti per chi non collabora“.