Cosa rischia chi fa body shaming sui social? Partiamo dal sottolineare che la diffamazione si configura tutte le volte in cui si offende la reputazione di un’altra persona, ovvero quando viene compromessa l’altrui dignità in assenza della vittima e dinanzi ad almeno due persone. Se invece l’offesa o il commento su internet sono indirizzati direttamente alla parte lesa, non si configura più la diffamazione ma l’ingiuria che è un semplice illecito civile.
Quanto al body shaming, non esiste un reato apposito. Secondo una recente pronuncia della Cassazione, prendere in giro una persona per i suoi difetti fisici è reato. A contare non sono solo le parole ma anche le emoticon che accompagnano il post. Si tratta di un caso di diffamazione aggravata, per la quale è prevista una pena superiore in quanto la condotta viene posta con mezzi di pubblicità, in grado di raggiungere un numero ampio di persone.
Quindi, chi diffama una persona sul web rischia di più di chi lo fa in una pubblica piazza o davanti a un gruppo di persone fisiche presenti sul posto. Nel caso disciplinato dalla Suprema Corte, in particolare, un uomo è stato condannato alla multa di 800 euro e al risarcimento dei danni per aver offeso un altro soggetto perché aveva pubblicato un post pubblico su Facebook dove faceva riferimento a deficit visivi di un altro soggetto, aggiungendo anche “emoticon” simboleggianti risate. Un aspetto interessante della pronuncia è quello che qualifica come diffamazione, e non ingiuria, il post sui social network benché lo stesso possa essere visto anche dalla vittima.