Circa un mese fa, durante la notte degli Oscar, si è consumata l’ormai triste aggressione fisica di Will Smith nei confronti di Chris Rock. Non è stato posto, però, ancora oggi, l’accento sulla vera questione e su le vere protagoniste di tutto ciò: Jada Pinkett e la sua malattia, l’alopecia. Si è parlato di come avrebbe dovuto reagire, di come sia rimasta inerme, ma non di come si sia sentita, di che cosa voglia dire essere affetti da tale patologia e di quali risvolti psicologici abbia. La battuta di Rock, seppur umoristica, è pur sempre di pessimo gusto. Se fosse stata fatta su un’altra malattia probabilmente si sarebbe alzato un polverone nei confronti del comico. Di alopecia ne soffrono milioni di persone di entrambi sessi ed è difficilmente curabile. Infatti, è complicato individuarne le cause e trovare delle cure efficaci, anche perché ogni persona risponde ad esse in modo diverso. Si suole generalmente distinguerla in cicatriziale e non cicatriziale, con vari sottotipi delle due categorie.
Sulla vicenda in questione e su cosa significhi avere l’alopecia e su quale sia la situazione in Italia giuridicamente, ce ne parla Giovanna Russo, giovane avvocato del territorio nolano, che ha scelto di rispondere alle nostre domande e che si occupa di fasce deboli, come donne vittime di violenza, minori che subiscono bullismo e cyberbullismo, non solo dal punto di vista legale, ma anche dal punto di vista sociale, con eventi nelle scuole per dare il proprio sostegno a queste persone e far capire che non sono sole. Lei stessa ha dovuto combattere e convivere con la patologia.
Perché si occupa di questi casi? Ha subito lei stessa episodi di bullismo da piccola? Quando ha iniziato a manifestarsi la malattia?
Dall’età di 3 anni, e oggi ne ho quasi 32, sono affetta da alopecia. All’improvviso, dopo diversi momenti di difficoltà scolastica, con un’insegnante che pretendeva delle poesie a memoria, urlandomi contro, accompagnata anche dalla perdita di capelli, decisi di non andare più all’asilo. In due anni ho perso tutti i capelli; è iniziata come alopecia parziale, cioè a chiazze, e poi totale, universale, non ho mai avuto nessuna peluria sul corpo. Dai 3 ai 5 anni sono scomparsi del tutto i capelli, questo ha alimentato dei fenomeni di bullismo, i ragazzi non si avvicinavano a me vedendomi con il cappellino. I genitori dei bambini, addirittura, ignorantemente, dicevano ai figli che non potevano frequentarmi, perché la malattia era contagiosa e potevo contagiarli.
Nessuno degli insegnanti è mai intervenuto?
C’era una maestra, Maria, l’unica che riusciva a capire la mia sensibilità e dove la mia sensibilità poteva portarmi. Infatti, credeva molto in me. Cercava di sensibilizzare sull’argomento, anche se era molto difficile, perché i bambini ascoltavano i loro genitori e non la maestra, quindi i fenomeni di bullismo non si sono arrestati. Però la parola di conforto detta da un’insegnante era tanto. Mi faceva sentire importante. A volte, quando mi vedeva particolarmente fragile, mi riportava lei a casa. Durante l’età adolescenziale la cosa è peggiorata, perché da bambina la vivi nel mondo dei giochi e non relazionandoti all’altro sesso, dopo inizi a pensare che la tua femminilità è limitata nei confronti dell’altro sesso, o meglio la percepisci così. Loro mi chiamavano maschio, ‘melonessa’, mi dicevano ‘Tu non puoi fare la donna, tu non puoi essere donna’. Spesso, durante le feste di piazza, le mie amiche andavano ai parchi giochi a giocare e io non ci potevo andare perché, stando con il cappellino, c’era il maschio di turno che mi diceva che poteva cadere e che, in tal caso, avrei fatto figuracce e che mi sarei sentita ancora più brutta. Questo è stato il periodo più brutto della mia vita.
Dopo il liceo ti sei sentita più forte? Utilizzando tutto questo per cambiare le cose?
Questa fase non è arrivata dopo il liceo, è un percorso maturato dentro di me poco alla volta. Ho scelto di andare a giurisprudenza per capire come poter gestire meglio la mia vita; lo ritenevo un percorso adatto a me, utile a fortificarmi e a capire cosa fosse giusto e se era giusto subire tante ingiurie infondate sulla mia persona. Dopo il percorso di laurea è partito questo riscatto sociale. Infatti, andando nelle scuole vedevo che si parlava spesso di bullismo e di cyberbullismo e, apprendendo di alcune storie di ragazzine che venivano derise per il loro aspetto fisico, o perché in sovrappeso o perché troppo magre, capii che forse potevo avvicinarmi di più a loro raccontando la mia storia e durante un incontro vidi proprio che c’era una bambina con l’alopecia, ma affetta anche da sindrome di Down e questa cosa mi fece tanto riflettere sulla possibilità di rappresentare una persona che, nonostante le difficoltà e i fenomeni di bullismo, era riuscita a superare tutto e ad andare avanti. Spesso quando si è attaccati non si ha il coraggio o le forze per dire posso farcela da sola.
Oggi è più facile, grazie ad internet, trovare qualche modello a cui ispirarsi o qualcuno nella stessa condizione. Lei all’epoca è riuscita a confrontarsi con qualcuno affetto da alopecia?
No, all’epoca non ebbi la possibilità, non c’erano gruppi Facebook, i social non erano molto sviluppati, mi confrontavo a volte solo con i medici. Sono stata da sola. Ai miei 8 anni conobbi il genitore di un bambino affetto da alopecia e nemmeno loro riuscivano ad individuare la cura per il problema, però non l’ho mai conosciuto, non c’è mai stato un confronto per sentirsi meno soli. Poi dopo, quando ho iniziato a capire che potevo essere un punto di forza per gli altri, accettai l’invito di un mio amico a mostrarmi in foto a testa ‘scalza’ per la prima volta. Prima di allora con le persone, dopo i miei 8 anni, non parlavo del mio problema, avevo iniziato a nasconderlo o con il cappello o con la parrucca. Dalla prima volta che me ne liberai contro la violenza, riuscii a parlarne di nuovo, con una consapevolezza diversa, perché in quel momento avevo accettato il problema e sapevo che potevo tranquillamente mostrarmi per come ero, senza il pericolo di dovermi portare addosso il pregiudizio e le critiche degli altri, di cui tanto si è parlato per l’episodio di Will Smith e della compagna Jada Pinkett.
A proposito della vicenda Rock-Smith lei cosa ne pensa?
Io ho lasciato una mia riflessione su Facebook dove ho esternato subito, di primo acchito, nelle prime ore del mattino, il mio pensiero senza aver letto le diverse versioni. Semplicemente ho cercato di far rivelare una cosa, si discuteva del gesto di Smith e del gesto di Rock, ma non si era parlato tanto di Jada e, anzi, si diceva che doveva intervenire lei. Innanzitutto, se io scelgo di mostrarmi in una trasmissione televisiva a testa scalza non significa che io debba aspettarmi dalle altre persone delle critiche e dei pregiudizi, e non significa neanche che io possa o voglia difendere da essi. Può essere una scelta, oggi non mi va di mettere la parrucca, non mi vedo bene allo specchio con la parrucca e voglio vedermi a testa scalza, ma non significa che io dentro di me non abbia una sofferenza e possa affrontare tutto da sola, o semplicemente scelgo di non difendermi dagli attacchi mediatici, perché non mi va più. Non possiamo neppure condannare Smith, che ha fatto un gesto impulsivo, che certamente va stigmatizzato come atto di violenza, ma non è personale. Nel caso specifico lui veniva colpito perché difendeva sua moglie. Dal punto di vista psicologico più che dal punto di vista legale andrebbe esaminato il comportamento di Smith, per vedere se c’è proporzionalità, se essa c’è o meno rispetto a questa offesa ingiusta e infondata, che non aveva soprattutto nessun motivo di esistere. Non c’era nessuna base logica in questa offesa, mentre il gesto di reazione partiva da una base. Si discute se sia giustificato o meno, ma certamente l’offesa non lo era. Se mettiamo sul piano le due condotte, entrambe le cose sono sbagliate, solo che Smith è stato punito e condannato e Rock no.
Cosa ne pensa di coloro che hanno criticato dicendo: “Ha solo l’alopecia, mica un tumore!”?
Ne soffre il 10% della popolazione mondiale e non esiste una alopecia di serie A e una di serie B. Se io soffro di alopecia non per un tumore, non è meno grave della alopecia da tumore. In entrambi i casi la donna perde i capelli e si vede allo specchio priva di un suo tratto identificativo. Inoltre, è una patologia quasi sempre connessa ad altre, non si tratta della semplice perdita del capello, va vista in quadro molto più ampio, perché è una malattia autoimmune, accompagnata da altre disfunzioni organiche, come può essere un tumore, un problema alla milza, al pancreas, Insomma, non viene mai da sola.
In Italia come è la situazione a livello informativo e giuridico?
Non è possibile che ancora oggi giornali di una certa rilevanza scrivano certe cose. Non è pensabile che siano stati pubblicati alcuni articoli sull’interrogazione parlamentare di Luigi Iovino in merito all’alopecia, ad inizio pandemia, dove ci si chiede come l’onorevole si era permesso di occuparsi del tema dei senza peli e dei senza capelli, invece di preoccuparsi del Covid. In Italia c’è un riconoscimento a livello nazionale della patologia che non è invalidante, ma non è così. Ogni alopecia ti crea anche delle problematiche a livello psicologico e i limiti psicologici in una persona sono devastanti, a volte portano alla depressione e tu, ad esempio, non vuoi uscire più di casa. Ci sono anche molti parrucchieri non formati sul tema. Se viene fatta una domanda di invalidità all’Asl ti danno il 35% e non esiste esenzione per le cure, si paga tutto, dal farmaco alle protesi, per finire alle parrucche. C’è solo il riconoscimento della detrazione per le spese mediche nella dichiarazione dei redditi, per chi la fa. Il mio obbiettivo è che le cose possano cambiare, mettendo in motore tante altre persone, specie i principali attori che sono i politici; è il legislatore che deve muoversi sia a livello nazionale che a livello regionale. È la regione che deve capire che deve stanziare dei fondi per sostenere le persone affette da alopecia. Gli impianti e la loro manutenzione hanno dei costi esorbitanti.
L’alopecia è invalidante allo stesso modo per uomini e donne?
Io credo che sia più invalidante per la donna. Gli uomini, spesso, scelgono di rasarsi i capelli, ma è sempre più rara vedere la donna a testa scalza rispetto all’uomo, solo il 10% fa veramente una scelta di coraggio e si presenta in quel modo. Io stessa, che mi sono mostrata così, a volte continuo a soffrire quando, non per le critiche, ma per non potermi vedere con i miei capelli. A volte il mio rapporto con l’alopecia non è buono. Le istituzioni dovrebbero capire quanto fa male ad una donna vedersi senza capelli, se loro riuscissero ad accettare un’interlocuzione, un tavolo tecnico, facendo parlare più parti attive di donne che hanno veramente sofferto, potrebbero rendersi conto dei danni a livello psicologico che ci sono per anni.
Cosa consiglia di fare a chi ne soffre? Come può sentirsi meglio?
Consiglio di fare quello che ho fatto io: farsi fotografare, potersi vedere all’interno di quelle foto con la loro vera bellezza, perché, nel momento in cui ti fai vedere a testa scalza, fai sì che qualcun’altro possa ammirare la tua bellezza. È un modo per accrescere la propria autostima. Per le donne può aiutare anche vedersi al mattino truccate, imparare delle tecniche base di make-up, fare dei trucchi particolari, soprattutto per chi ha l’alopecia universale e non ha nessuna peluria sul corpo e quindi nemmeno sopracciglia e ciglia. Così ci si vede un po’ diverse, si può anche giocare e sperimentare con il trucco.
C’è qualche evento in programma a sostegno di tutto ciò?
C’è un premio, giunto quest’anno alla quarta edizione, che si chiama ‘Donna, lo devi a te’. Durante l’evento si parla sia di violenza sulle donne sia di mancato riconoscimento dell’alopecia. Si confronta la donna vittima di violenza, che subisce atti di violenza da parte del proprio uomo, con la donna affetta da alopecia, vittima di uno Stato e di una società che la bersaglia costantemente, facendo anche vedere e propinando dei modelli che non sono conformi ad esse. L’evento normalmente ricorre nel mese di novembre, prossimamente sveleremo la data ufficiale.