Dare del “parassita” a un politico, in Italia, rientra nel reato di diffamazione o nel diritto di critica? Analizziamo la situazione. La Corte di Appello di Napoli, ad esempio, con sentenza n. 504/2023, ha ritenuto integrato il reato di diffamazione a mezzo stampa per chi accusa un appartenente una fazione politica opposta di avere comportamenti “parassitari della società”. Anche secondo la Cassazione penale (sent. n. 46496/2023), nel contesto politico, la critica assume spesso toni aspri. Tuttavia si invoca il diritto di cronaca nel caso in cui l’espressione utilizzata con toni aspri risultante offensiva sia connessa all’attività politica del soggetto passivo.
Un precedente della Suprema Corte (sent. n. 48553/2011) ha stabilito che chiamare “parassita” un personaggio politico integra il reato di diffamazione a meno che si argomentino le ragioni dalle quali l’insulto è scaturito. Affinchè vi sia esercizio del diritto di critica, è necessario che il giudizio sia collegato col dato fattuale dal quale la persona che dice il termine prende spunto.
Pertanto, nel caso in esame, è stata confermata la condanna per diffamazione di un giornalista che indicava due onorevoli definendoli “parassiti“. In altri termini, i giudici hanno ritenuto che l’epiteto “parassita”, in quanto rientrante nel diritto di critica, potesse essere considerato espressione di “folklore giornalistico” nel caso in cui fossero spiegate le ragioni di fatto su cui era fondato tale giudizio negativo. In sintesi, affinchè il comportamento rientri nel diritto di critica, è necessario che il giudizio espresso su una persona, anche se severo e aspro, sia collegato con i fatti concreti e al termine di un ragionamento logico.
Sempre la Cassazione, poi, ha confermato la sanzione disciplinare a carico del presidente del Tribunale dei minori di Genova, reo di aver insultato, nel corso di una riunione dell’Associazione Nazionale Magistrati, l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi e l’ex ministro della giustizia Alfano, chiamandoli “gaglioffi” ( “inetti”).
La Cassazione, con sentenza n. 21651/2023, ha indicato quali debbano essere i presupposti del diritto di critica politica. In particolare, per ritenere lecita un’offesa, è necessario che siano rispettati i seguenti limiti: la continenza verbale, ovvero la moderazione dell’esposizione lessicale; la verità dei fatti attribuiti alla persona offesa; la sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto della critica.