Alexei Navalny è morto. Il più grande oppositore di Putin il 16 febbraio scorso è deceduto in carcere russo. Ma chi era davvero? 47 anni, sposato con due figli, discendeva da una famiglia di origini ucraine e, avvocato di formazione, inizia la sua carriera politica nel 2000 tra le file del partito di opposizione Yabloko. Sin dall’inizio comincia a protestare contro il regime di Putin definendo i governanti “ladri e corrotti”. Nel 2007 lascia il partito e crea il suo blog in cui racconta episodi di corruzione all’interno della Russia e comincia ad attaccare direttamente Putin. Realizza una serie di video-inchieste sugli affari e la corruzione del Presidente e dei principali oligarchi e quindi si fa conoscere anche all’estero. I guai legali cominciano nel 2017 quando viene arrestato per ben 3 volte in seguito a proteste da lui organizzate contro Putin. Nel 2020 i primi attacchi alla sua salute: mentre con la sua portavoce è in volo da Tomsk a Mosca perde i sensi ed entra in coma venendo curato a Berlino, dove vengono avanzate subito le ipotesi dell’avvelenamento. Dopo una lunga convalescenza, torna in Russia e viene ancora una volta arrestato e condannato a due anni e otto mesi di carcere. Attacca intensamente la scelta della Russia di invadere l’Ucraina ma viene condannato ancora una volta, in questa occasione con l’accusa di aver finanziato il terrorismo. Dal carcere non uscirà più e, come molti avevano temuto, morirà nelle celle del regime di Putin.
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