Dal campo di calcio al campo di concentramento : la storia del grande Arpad Weisz

di Nello Cassese

Nel giorno della memoria vogliamo ricordare un personaggio enigmatico e straordinariamente importante per il mondo del calcio degli anni ’30-’40 : Arpad Weisz, ungherese di origine ebraica, deportato nei campi di concentramento. Calciatore dalle grandi doti fisiche e tecniche, ebbe poca fortuna come calciatore ma passò alla storia come uno dei più grandi allenatori di sempre, quella stessa storia che sembrava averlo dimenticato.

Weisz nacque in Ungheria da genitori ebrei. Comincia la sua carriera da calciatore nel Torekves, continuando poi nel Maccabi Brno. Viene notato dagli osservatori del Padova che lo portano in Italia; nel Belpaese Arpad si mette in mostra e viene acquistato dall’Inter. Partecipa alle Olimpiadi di Parigi del ’24 e fa coppia sulle fasce con Hirzer, “la Gazzella” che poi divenne il primo straniero alla corte degli Agnelli. Un infortunio serio lo costringe a sedersi in panchina come allenatore e, dopo gli apprendistati in Sudamerica e all’Alessandria, ha la sua grande occasione alla guida dell’Ambrosiana, l’attuale Inter. Corre l’anno 1930 e si disputa il primo campionato di Serie A a girone unico; Weisz, quasi da predestinato, lo vince e lancia il giovane Giuseppe Meazza, a soli 17 anni. Il tecnico ungherese rifa il look al calcio del tempo, arrivando a scrivere con Aldo Molinari un manuale, “il giuoco del calcio”. Fu lui ad istituire la “tradizione” dei ritiri pre-partita, ad importare i dogmi del calcio inglese in Italia, era sempre lui ad allenarsi con i suoi calciatori e ad allenarli personalmente davanti al muro, come faceva con il giovane Meazza. Allenò poi il Novara, portandolo al secondo posto a tre punti dalla capolista, il Bari, trascinandolo alla salvezza, ed il Brescia. L’apice del successo lo raggiunse però con il Bologna, portandolo alla vittoria di due scudetti ed il torneo dell’Esposizione Universale a Parigi (la Champions League dell’epoca), battendo 4-1 il Chelsea in finale. Chiedeva che ci fosse un team quotidiano di giardinieri per il manto erboso, assieme ad un team di medici e di dietologi. Erano altri tempi, erano i tempi di calciatori come Monzeglio, che dava lezioni di tennis ai figli del Duce, o di Fiorini, che morì nel ’44 colpito da una raffica dei partigiani. Erano altri tempi, c’era la guerra e non era facile giocare a calcio. Lo capì sulla sua pelle proprio Weisz che nel ’38, dopo la promulgazione delle leggi razziali, fu licenziato dal Bologna, che tanto in alto aveva portato. Il figlio non viene accettato a scuola e lui decide di partire in treno con la famiglia per Parigi, ma non trova lavoro e le finanze cominciano a scarseggiare. Decide allora di puntare verso Dordrecht, in Olanda. Anche nei Paesi Bassi purtroppo il Nazismo gli nega la gioia del calcio, la gioia della vita. Tira avanti con gli aiuti del presidente del Drodrecht, allena la squadra con la stella gialla sul petto ed è costretto a guardare le partite da una fessura della staccionata dello stadio. Viene arrestato insieme alla moglie e ai due figli, vengono portati dapprima in un campo di lavoro e poi ad Auschwitz, dove la moglie e i figli vengono uccisi barbaramente, come tanti altri, nella camere a gas. Arpad aveva un fisico atletico e poteva ancora “servire”; resse 16 mesi, ma dovette arrendersi poi al freddo e agli stenti.

E’ solo una delle tante storie della Shoah, oppure no? La storia di Arpad Weisz è rimasta nell’oblio per 60 anni finchè il Comune di Bologna ha voluto “riesumarla”. Così il giornalista e scrittore Matteo Marani si è messo all’opera e, spulciando in uno scantinato tra dei registri del ’38, ha trovato il nome di un amico fraterno del piccolo Weisz, con il quale comunicava anche durante la fuga della famiglia di Arpad tra Olanda e Francia. Nel gennaio 2009, sempre su iniziativa del Comune di Bologna, è stata posta una targa in sua memoria sotto la torre di Maratona nello stadio Renato Dall’Ara. Il 27 gennaio 2012 invece, in occasione della giornata della memoria, è stata posta un’altra targa anche al Meazza, lo stadio dell’inter. Nel febbraio del 2014 anche il Comune di Bari gli ha reso omaggio, intitolandogli una via nella zona dello stadio San Nicola. Il15 gennaio 2013 gli è stato dedicato il quarto di finale di Coppa Italia tra Inter e Bologna, in cui giocatori delle due squadre sono entrati in campo con una maglietta commemorativa. Come ha detto lo stesso Marani :

Fatto sta che di Weisz, a sessant’anni dalla morte, si era perduta ogni traccia. Eppure aveva vinto più di tutti nella sua epoca, un’epoca gloriosa del pallone, aveva conquistato scudetti e coppe. Ben più di tecnici tanto acclamati oggi. Sarebbe immaginabile che qualcuno di loro scomparisse di colpo? A lui è successo

E’ assurdo pensare ad un Mourinho, o ad un Cristiano Ronaldo, dimenticati dalla storia, dimenticati dalla stampa, dimenticati da tutti; eppure ad Arpad Weisz è accaduto. Erano altri tempi, la guerra non risparmiava neanche gli Dei del calcio; Arpad Weisz era stato dimenticato ma ora è rinato, per non morire più.

di Nello Cassese

 

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