“Ho fallito, sia come magistrato che come uomo“. Così, al Corriere della Sera, Vincenzo Semeraro, il giudice di Sorveglianza del Tribunale di Verona che si occupava del caso di Donatella Hodo, giovane che lottava contro problemi di dipendenza da stupefacenti e una grande fragilità e che, la notte del 2 agosto, si è uccisa inalando del gas dal fornelletto che aveva in cella.
“Ogni volta che una persona detenuta in carcere si toglie la vita, significa che tutto il sistema ha fallito – continua il giudice – Anche io ero parte del sistema visto che seguivo il suo caso da sei anni. Da giorni mi pongo mille interrogativi. Cosa avrei potuto fare di più per questa ragazza? Forse l’ultima volta che sono andato a farle visita nel penitenziario, lo scorso giugno, avrei potuto dirle due parole in più? Perché, nonostante la conoscessi da quando aveva 21 anni, non ho captato che il malessere era divenuto per lei così profondo?“.
“Avevo predisposto che uscisse di cella ma poi è scappata. Avevo predisposto per il il Sert ma non ha fatto in tempo. Le emotività in carcere delle donne sono totalmente diverse rispetto a quelle degli uomini. Al funerale il papà mi ha detto che lei gli parlava di me come di un secondo padre. Mi dispiace non aver potuto far di più“, ha concluso il giudice.