Cristo si è fermato a Nola

di Nello Cassese

Sono passati solo pochi giorni ma se ne parla ancora. Nei bar, nei salotti, in strada, sui gruppi whatsapp, negli altri comuni. Il civico consesso di Nola è caduto, l’amministrazione Minieri lascia palazzo di città, questa volta, definitivamente. La sfiducia della maggioranza dei consiglieri ha posto fine all’avventura politica del sindaco Gaetano Minieri dopo 30 mesi. Trenta mesi di bagarre, dimissioni ritirate, accordi dell’ultima ora e, di mezzo, la pandemia. Trenta mesi di progetti, ambizioni (Nola Capitale del Libro, Nola gemellata con Procida) e tanti altri buoni propositi e programmi, a volte anche sostenuti da qualche evidenza, che però poggiavano su basi fragili, su una maggioranza eterogenea e mai solida che cercava di tenere in vita con il defibrillatore un progetto politico purtroppo già da tempo destinato a perire.

La fine dell’amministrazione Minieri porta il commissario prefettizio in Piazza Duomo per la seconda volta in 4 anni. Un fallimento non del singolo politico, non del singolo sindaco né del singolo consigliere. Ciò che è successo è il fallimento dell’intera classe politica nolana. Un sistema che si è dimostrato feudale, restìo al cambiamento e, ancora una volta, incapace di ascoltare le istanze dei cittadini. Chi è attento cronista ed osservatore dell’agone politico nolano (e non è il caso di chi scrive) non si è meravigliato di questo epilogo, seppur arrivato con meno preavviso del previsto.

Chi però vive la strada e conosce gli scenari della città, sa che da anni la politica Nolana è troppo lontana dalla vita reale della comunità. Una città, una comunitàm che ormai è deserta negli animi e nelle vie. Una città senza un’opinione pubblica forte, disamorata verso la politica. Parafrasando il noto libro di Carlo Levi “Cristo si è fermato ad Eboli“, sembra davvero che Cristo si sia fermato a Nola, un limbo in cui tutto sembra eternamente immutato e monotono. Potenzialità enormi, interessi regionali e nazionali, eppure immobile da anni.

Chi sarà chiamato a governare dovrà fare i conti con la realtà. Aumento della povertà, crisi del lavoro (nonostante Cis, Interporto e Vulcano Buono presenti sul territorio), centro storico deserto, piazza d’Armi ormai zona franca e abitata nei meandri dell’ex campo sportivo e della caserma Battisti da dimenticati dalla società, periferie senza servizi, sport senza strutture, commercio in crisi, Festa dei Gigli al palo e senza programmazione, strade ancora dissestate, rischio idrogeologico alto, evasione e, ovviamente, il dissesto economico pendente (almeno 40 milioni di debito). E, in ultima istanza, la diaspora dei giovani: chi resta lotta ma non ha né gli strumenti né una via, chi scappa trova di meglio altrove e non vuole più tornare.

Chi prenderà questa eredità? Chi avrà le spalle così forti? Cosa ne sarà dei fondi annunciati e dei cantieri in apertura? Il rischio di perdere definitivamente il contatto con la cittadinanza è forte e già ora aleggia lo spettro dell’astensionismo record alle prossime elezioni. Dopo anni di immobilismo, due commissariamenti in 4 anni, nulla è scontato, seppur sia lecito quantomeno immaginare un ricambio generazionale della classe politica. Il futuro è più incerto che mai. Come al solito, il nuovo orizzonte verrà tracciato in cabina elettorale. Verranno eletti in pochi, ma avranno l’onere di rappresentare tanti. Sperando che stavolta, alla fine, il conto non lo pagheranno sempre e solo i cittadini.

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