L’invito è arrivato sul filo di lana. Certo che l’aspettavamo! Un matrimonio annunciato più d’una volta, non si poteva perdere. Aveva, poi, le caratteristiche d’essere quello dell’anno. E non ha tradito. Un caldo sahariano era l’invitato non ammesso. Ma si è presentato con tutta la sua ferocia. E noi a sfidarlo con giacca e cravatta. Vincendo. Felici e sudati. Beate le donne, però. Fasciate, tutte,da abiti con promesse proibite. Bellissime. Con l’accortezza delle spalle scoperte. Due vantaggi assieme, a pensarci bene. Chiesa gremita e chiacchiericcio insistente. Troppo gioiosi per pensare di fermarli. C’ha provato don Giuseppe, vanamente. Come può uno scoglio arginare il mare?
Senza farsi aspettare troppo, vivaddio, l’applauso di rito fa voltare verso l’entrata. Raffaella più di così non poteva trasmettere felicità. Sorrisissimo. Ed è selvaggiamente bella, come una Laura Efrikian dei miei tempi. Accanto, sobriamente, caracollava papà Andrea. Sarò di parte, ma ho indovinato in lui, in quel momento, l’atavico possesso di trequarti di nobiltà napoletana. Sereno, da non sembrare lui, ha collegato il sorriso con gli occhi azzurri. Lo sguardo, chiaramente, è volato su Alfonsina. Abito color carta da zucchero, occhi d’inesprimibile gioia. Tenera come non mai. Il bacio, sulla fronte, di Mario Carmine, seriamente e severamente elegante. British style. E fa il paio con tutta la famiglia De Stefano. Ammirabili. Svetta armonioso papà Filomeno con accanto la graziosa gradevolezza della consorte.
Così si demandava l’inizio della cerimonia. I fedeli fremono, poco in simbiotica coordinazione, per la verità. Anarchia nel dogma. I molteplici applausi, comunque, hanno fatto da conclusione, facendo guadagnare l’uscita a tutti. Ed al varco c’era la canicola, inesorabile. Riso scagliato ed abbracci anti Covid d’ordinanza. Tutti pronti per volare, con aria condizionata a manetta, verso il Castello di Lauro. Viaggio breve per dar vero sollievo alle povere dame, oramai almeno in auto, orfane delle lame 12 spacciate per tacchi. Lo spiazzo di corte del castello albergava nei miei pensieri da anni. Ho presentato lì libri e concerti. È sempre magnetica, ma l’aria, oggi, è ferma. Tattica a tenaglia col caldo opprimente. Aperitivi e socializzazione. Chi non vedevi da tempo si palesava di colpo. Sorrisi e ricordi. In attesa della coppia sposi, prelibatezze spicciole da addentare posizionate nei quattro punti cardinali. Eleganti si, ma tutti noi alquanto impacciati. Chi strangolato dalla cravatta, chi equilibrista con porzioni alla mano.
Si vola, all’imbrunire, nei saloni. Un tempo, immagino, deputati per i gran balli. Oggi ospitano il mio personale godimento, di condividere il tavolo con i cugini. Tra Andrea, papà felice, accompagnato dalla dolcemente delicata Alfonsina, il germano Antonio, silente e sornione, spuntano serenamente Antonio e Filomena, Rosa ed Antonietta, con la deflagrazione finale di zia Nunzia. Pietanze di saporitissimo spirito si susseguono. Ma il piatto forte è quello di carne. Asado argentino. In cottura da oltre quattro ore. Pappato tutto. Non è mancato lo spettacolo del fuoco, così come il romantico ballo dei nostri due accanto alla torta. Accompagnati dal sax, malinconico, fascinoso, irresistibile. I dolci, raggiunti in corteo migratorio, facevano suonare il gong della giornata. Per la prima volta, da tanto, vola l’occhio sull’orologio. Accidenti, quasi le due! Ma nessuno si muove. Allora sorrido io. E capisco quanto sia stato interessante, amabile, invitante e malioso esserci. Arrivo alla portiera, mi volto e penso: beh…io c’ero.