Fight Club è un film di genere drammatico-thriller-grottesco del 1999 diretto da David Fincher. Basato sull’omonimo romanzo scritto da Chuck Palahniuk, sceneggiato da Jim Uhls e prodotto da Art Linson con Arnon Milchan, il film offre una visione altamente critica del consumismo e dell’alienazione dell’uomo moderno. La pellicola ha per interpreti principali Edward Norton (Narratore), Brad Pitt (Tyler Durden), Helena Bonham Carter (Maria Singer), Jared Leto (Faccia d’Angelo), Meat Loaf (Robert ‘Bob’ Paulson), Zach Grenier (Richard Chesler), David Andrews (Thomas), Rachel Singer (Chloe), Tim De Zarn (ispettore Bird), David Lee Smith (Walter), Eion Bailey (Ricky) e Michael Shamus Wiles (barista).
Con un budget di 63 milioni di dollari, il film ne ha incassati appena 100 milioni, ma grazie al mercato home video ha ottenuto un successo enorme diventando presto un cult-movie. La critica è stata contrastante: in particolar modo si è puntato il dito sulla violenza eccessiva presente nel film ma se ne è lodato il montaggio. Fra i riconoscimenti sono da segnalare la nomination agli Oscar 2000 (miglior montaggio sonoro a Ren Klyce e Richard Hymns) e la nomination MTV Movie Award (miglior combattimento –contro sé stesso– a Edward Norton) dello stesso anno.
TRAMA Il protagonista-narratore è un uomo il cui vero nome non viene mai pronunciato. Lavora come consulente nel ramo assicurativo di un’importante casa automobilistica e rappresenta lo stereotipo dello yuppie frustrato dalla vita moderna. Schiavo del consumismo, depresso, insonne, ansioso e stordito dal jet lag, l’uomo trova un’apparente cura ai suoi problemi solo cominciando a frequentare gruppi d’ascolto per persone affette da mali incurabili. È ad una di queste sedute che incontra Maria Singer, una ragazza che come lui finge di avere gravi malattie. Durante uno dei suoi viaggi di lavoro il protagonista conosce Tyler Durden, un originale ed eccentrico produttore e venditore di saponette. In seguito alla perdita della casa in un’esplosione provocata da una fuga di gas, il narratore decide di incontrare nuovamente Tyler. Tra i due, dopo una scazzottata fuori da un locale, nascerà un affiatato quanto bizzarro rapporto che li condurrà a fondare il FIGHT CLUB, un circolo segreto i cui appartenenti prendono parte a violenti combattimenti. In breve tempo quello che era un circolo di combattimenti clandestini raduna numerosi adepti e si trasforma in un ritrovo per uomini alienati e insoddisfatti, pronti a combattere fino alla morte pur di rovesciare ciò che considerano il loro nemico giurato: la società in cui vivono, che trova la sua massima espressione nell’American way of life. Il culmine di questo indirizzo è la creazione di un gruppo sovversivo e nel concepimento del “Progetto Mayhem” di stampo eco-terrorista e anarco-primitivista.
ANALISI La noia autodistruttiva che riflette il contesto di una normalità solo esternamente appagante viene scandita in un’azione lenta in cui l’io narrante risulta più che efficace nel coinvolgere lo spettatore nel dramma rappresentato. Atmosfere cupe e notturne sono il teatro, o meglio il ring, in cui la vita repressa riemerge in contrasto con la luce del giorno che delinea l’insoddisfazione repressa imposta dallo stereotipo sociale che si intende criticare. E quando la reazione all’apatia che ferisce e uccide più delle botte assume i connotati di una tensione rivolta ad una inevitabile rottura, una reazione a catena fuori controllo inghiotte il protagonista in un vortice più letale della normalità combattuta all’inizio. La rivelazione finale è un colpo di scena che chiude un’opera costruita con maestria per intrattenere ma soprattutto per far riflettere, come nei più grandi classici del distopico, sulle distruttive conseguenze di una condotta di vita consumistica.
“Non c’è niente di statico. Tutto va in pezzi.” (Chuck Palahniuk)
CONTRO IL CONSUMISMO Il primo romanzo dello scrittore e giornalista freelance statunitense Chuck Palahniuk (Pasco, 21 febbraio 1962) viene pubblicato nel 1996 e soprattutto dopo l’uscita, tre anni dopo, dell’omonimo film, ha acquisito molta popolarità, soprattutto per l’esplicita raffigurazione della violenza e per lo stampo nichilistico della narrazione. Fu un iniziale rifiuto dell’editore a pubblicarne la prima versione – poi pubblicata in forma breve con il titolo Invisible Mosters nella raccolta Pursuit of Happiness – a spingere Palahniuk ad ampliare il libro fino alla sua forma definitiva, quella che l’editore infine volle pubblicare. Il romanzo ebbe scarso successo commerciale, ma dopo l’uscita del film omonimo in DVD la prima edizione del libro divenne oggetto di collezione grazie a due edizioni, una del 1999 e l’altra del 2004. L’edizione italiana è del 2003, tradotta da Tullio Dobner (traduttore ufficiale di Stephen King) con postfazione di Fernanda Pivano per la collana Oscar Mondadori.
OLTRE LA VIOLENZA La trama, nel libro e nel film, ruota intorno ad un protagonista che lotta contro il suo crescente disagio nei confronti del consumismo e contro l’ambizione della cultura statunitense verso la mascolinità. La reazione a questa apatica sofferenza la trova quando crea di nascosto un club di pugilato come forma radicale di psicoterapia, con l’aiuto dell’incarnazione di un alter-ego ribelle. Malgrado il pensiero popolare, l’autore non si è ispirato ad alcun vero fight club, bensì su una serie di esperienze violente cui si era trovato a far parte in passato. Ciò nonostante sono tristemente da segnalare fenomeni di emulazione (sbagliata) nella realtà: molte persone, dagli adolescenti agli adulti, hanno formato i loro fight club proprio come descritti nel libro.
“Se stai leggendo questo, allora questo avviso è per te. Ogni parola che leggi è un’inutile stampa elegante, è un altro secondo trascorso della tua vita. Non hai proprio nient’altro da fare? La tua vita è così vuota che onestamente non riesci a immaginare un modo migliore per trascorrere questi momenti? O sei così sottomesso all’autorità che dai rispetto e credito a tutti coloro che affermano di possederla? Leggi proprio tutto quello che vogliono che tu legga? Pensi proprio tutto ciò che vogliono tu debba pensare? Compri quello che ti suggeriscono tu voglia comprare? Esci di casa. Incontra un membro del sesso opposto. Chiudi con lo shopping compulsivo e con la masturbazione. Lascia il tuo lavoro. COMBATTI. DIMOSTRA CHE SEI VIVO. Se non reclami la tua umanità diventi una statistica. Sei stato avvertito… Tyler”.
La violenza non è MAI la soluzione finale per cambiare le cose, ma la critica rivolta contro il consumismo risulta più che valida se consideriamo il sistema iper-consumistico in cui versiamo noi uomini odierni, non solo in USA ma in tutto il mondo civilizzato. La pandemia del nostro tempo sta mettendo in luce, martoriandolo e condannandolo, ciò che – vuoi per (sbagliata) scelta libera, vuoi per l’ignoranza alimentata dall’abuso e dall’illusione di comodità che non mirano a ciò che davvero ci fa vivere – noi abbiamo scioccamente scelto di essere. Con un realismo più spietato di qualunque classico distopico, le nostre paure e le nostre debolezze da troppo tempo ignorate si riflettono in una realtà tragica in cui purtroppo, non facciamoci illusioni, è del tutto impossibile prevedere quando e come andrà a finire.
Se qualcuno fra noi coltiva ancora una mente che vuole guardare oltre la superficie di una violenza solo di facciata, usata in questo caso come più che sperimentato contesto per grandi insegnamenti fra pagine e celluloide, allora potrà divertirsi e soprattutto ricavare da questa storia che vanta interpreti impeccabili un insegnamento che è un monito da ripetere con decisione più violenta di qualunque pugno a noi, indegni epigoni di una civiltà in degrado totale, che mai come ora dobbiamo essere forti nel resistere e andare avanti riscoprendo l’essenziale che davvero ci tiene in vita.
CULT PER MENTI ACUTE.