Pochi giorni fa il tribunale di Torino ha condannato la preside, accusata di violenza privata e diffamazione, che costrinse una maestra torinese alle dimissioni, ad 1 anno e 1 mese; insieme a lei sono state condannate anche un’altra maestra (ad 8 mesi, per violazione della privacy) e una mamma di una bambina dell’asilo (a 12 mesi, per violenza privata).
L’ormai risaputo episodio di revenge porn risale alla primavera del 2018. L’ex ragazzo della maestra di Torino diffuse su una chat WhatsApp del calcetto foto e video hard e chat erotiche, contenti il nome e cognome della maestra, senza che lei lo sapesse. Le foto divennero virali fino ad arrivare alle mamme dei bambini della scuola materna. Una di queste minacciò di cambiare asilo alla figlia se la maestra avesse continuato a lavorare lì, perché per lei una persona che esercita tale professione non dovrebbe fare certe cose. La preside, venuta a conoscenza della vicenda, anziché dimostrarsi solidale e di schierarsi contro tale reato, costrinse la maestra a rassegnare le dimissioni, dopo aver ordinato alle sue colleghe di allontanarla e di trovare qualsiasi pretesto per mandarla via.
Da allora per la ragazza iniziò la gogna mediatica. Nessuno si è mai scusato con lei o le è stato accanto per sostenerla, è stata lasciata da sola ad affrontare tutti questi soprusi. La ragazza ha dichiarato che, da allora, non è più riuscita a trovare lavoro a causa delle cattive referenze e che la sua vita è stata completamente stravolta. Si è sentita marchiata, la sua sfera più intima e privata è stata violata e ne paga irrimediabilmente ancora oggi le conseguenze. Trascina con sé, tuttora, delle ferite psicologiche, non riesce più a truccarsi o ad indossare un abito corto. Un’altra vittima che, invece di essere trattata come tale, viene trattata come se avesse lei commesso qualcosa di sbagliato. Le tre condanne rappresentano una vittoria, che tuttavia non cancella il massacro sociale subìto.
IL REVENGE PORN IN ITALIA
Purtroppo in Italia quello del revenge porn (o pornovendetta) è un fenomeno molto diffuso. Secondo gli psicologi tutto ciò è causato da un problema culturale, dalla scarsa educazione alla sessualità, da una troppa accessibilità a certi contenuti e dal poter facilmente divulgare foto e video privati. Tale terminologia ha cominciato ad esser utilizzata nel 2016 quando una ragazza di 33 anni, Tiziana Cantone, si suicidò dopo che il suo ex fidanzato aveva diffuso in rete un video dove lei gli praticava del sesso orale. La madre si è battuta per far condannare il ragazzo e tutti gli altri responsabili della morte della figlia e, in seguito, molti hanno lottato affinché si inasprissero le pene per chi commetteva ciò e affinché si creasse una vera e propria legge sul revenge porn. Successivamente, infatti, è stata promulgata la legge 19 luglio 2019 n. 69, che all’articolo 10 ha introdotto tale fattispecie di reato con la denominazione di “diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti“. Introduce due diverse ipotesi di reato: la diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, da parte di chi queste immagini le ha realizzate e da parte di chi le riceve e contribuisce alla loro ulteriore diffusione al fine di creare nocumento alle persone rappresentate.