Il coronavirus blocca tutte le attività e centralizza l’attenzione ma, mentre tutto scorre, ci sono problemi atavici che non trovano soluzione e, anzi, si complicano ulteriormente. E’ il caso dell’Anfiteatro Romano di Nola, una struttura millenaria che da anni versa in stato di degrado nonostante alcune opere di pulizia e bonifica. Le immagini dello stato in cui versa oggi sono un colpo al cuore ma, purtroppo, non sono una novità.
L’anfiteatro risale alla metà del I secolo a.C., poco dopo la deduzione di Nola a colonia sillana. In seguito l’edificio subì almeno due ristrutturazioni, ma fu abbandonato già prima dell’eruzione di Pollena ed utilizzato come cava di materiale da costruzione, periodo durante il quale furono asportate quasi tutte le gradinate e gran parte della decorazione di marmo, tranne quella del parapetto. Dal XVI secolo la struttura fu nota come “anfiteatro laterizio” e, secondo la tradizione, fu il luogo nel quale venne rinchiuso nel 95 d.C., per ordine del prefetto Marciano, il vescovo Felice di Nola, condannato alla damnatio ad bestias per aver professato la fede cristiana; che però si salvò poiché le belve si rifiutarono di attaccarlo. Tra il 1985 ed 1993 furono effettuati degli scavi, durante i quali gli archeologi rinvennero tre corridoi di accesso al monumento e alcuni elementi delle murature del circuito esterno, ancora rivestite di intonaco. Da anni la mancanza di fondi e la mancanza di zelo da parte delle istituzioni hanno fatto sì che l’anfiteatro non fosse mai pienamente fruibile e, a volte anche per molti mesi, addirittura inutilizzabile e sommerso dall’incuria.