Il 19 luglio 1992, alle 16.58, in via Mariano D’Amelio a Palermo avvenne uno degli attentati più cruenti e drammatici ai danni dello Stato italiano: l’omicidio del magistrato Paolo Borsellino. Assieme a lui morirono anche 5 uomini della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Il giudice Borsellino era andato a far visita alla madre ed alla sorella Rita, quando una Fiat 126, rubata e contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo, esplose.
L’unico sopravvissuto, l’agente sopravvissuto Antonino Vullo, descrisse così l’esplosione: “Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto”. Per la strage sono stati condannati all’ergastolo diversi mafiosi tra cui anche Salvatore Riina, ma nel tempo diverse dichiarazioni hanno sorvolato elementi accusatori su alcuni soggetti del mondo imprenditoriale e militare, tra cui ad esempio anche Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Ad oggi la piena verità non è stata scoperta e resta ancora il mistero dell’agenda rossa del giudice che per qualcuno sarebbe stata presa dai carabinieri e per altri invece sarebbe andata distrutta. Cioè che resta è il ricordo di uomini e donne coraggiose che per lo Stato hanno dato la vita.