Uno studio interessante è stato rivelato nelle ultime ore. Commissionato dalla Società Italiana di Medicina Ambientale, dall’Università di Bologna Alma Mater Studiorum e dall’Università di Bari Aldo Moro, parte dal presupposto scientifico che il particolato atmosferico funziona da carrier, ovvero vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi virus. Una solida letteratura scientifica dimostra infatti come i virus si attacchino al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e liquide in grado di rimanere in atmosfera per ore, giorni e settimane, e possano diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze.
Dallo studio si evince ancora che il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali: mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso diffusione del virus, cioè di virulenza. Come detto, il nuovo coronavirus non sarebbe il primo virus trasmesso tramite particolato atmosferico. Altre ricerche scientifiche hanno ricercato e confermato la correlazione particolato atmosferico-virus per altri virus in passato. Si riportano alcune conclusioni di vecchie ricerche nello studio italiano:
1) anno 2010, l’influenza aviaria può essere veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri che trasportano il virus.
(Fonte: Chen P-S., et al., 2010 “Ambient Influenza and Avian Influenza Virus during Dust Storm Days and Background Days” Environmental Health Perspectives, 118, 9)
2) anno 2016, esiste una relazione tra la diffusione del virus respiratorio sinciziale umano (RSV) nei bambini e le concentrazioni di particolato.
(Fonte: Ye Q., et al., 2016 “Haze is a risk factor contributing to the rapid spread of respiratory syncytial virus in children” Environ Science and Pollution Research, 23, 20178-20185)
3) anno 2017, il numero di casi di morbillo su 21 città cinesi nel periodo 2013-2014 varia in relazione alle concentrazioni di PM 2,5.
(Fonte: Chen G., et al., 2017 “Is short-term exposure to ambient fine particles associated with measles incidence in China? A multi-city study.” Environmental Research 156, 306-311)
4) anno 2020, uno dei maggiori fattori di diffusione giornaliera del virus del morbillo in Lanzhou (Cina) sono i livelli di inquinamento di particolato atmosferico.
(Fonte: Peng L., et al., 2020 “The effects of air pollution and meteorological factors on measles cases in Lanzhou, China” Environmental Science and Pollution Research)
Lo studio italiano, andando nella sua analisi nel dettaglio, per valutare la possibile correlazione ha analizzato per ciascuna provincia:
– i dati di concentrazione giornaliera di PM10 rilevati dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA) di tutta Italia;
– i dati sul numero di casi infetti da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile (COVID-19 ITALIA).
In particolare, si evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 Febbraio – 29 Febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 Marzo (considerando un ritardo temporale intermedio relativo al periodo 10-29 Febbraio di 14 giorni approssimativamente pari al tempo di incubazione del virus fino alla identificazione della infezione contratta).
Tale analisi sembra indicare una relazione diretta tra il numero di casi di COVID-19 e lo stato di inquinamento da PM10 dei territori, coerentemente con quanto ormai ben descritto dalla più recente letteratura scientifica per altre infezioni virali. La relazione tra i casi di COVID-19 e PM10 suggerisce un’interessante riflessione sul fatto che la concentrazione dei maggiori focolai si è registrata proprio in Pianura Padana, mentre minori casi di infezione si sono registrati in altre zone d’Italia. Nella ricerca viene inoltre affermato che:
Considerando il tempo di latenza con cui viene diagnosticata l’infezione da COVID-19 mediamente di 14 giorni, allora significa che la fase virulenta del virus, che stiamo monitorando dal 24 febbraio (dati della Protezione Civile COVID-19) al 15 Marzo, si può posizionare intorno al periodo tra il 6 febbraio e il 25 febbraio.
Tali analisi sembrano quindi dimostrare che, in relazione al periodo 10-29 Febbraio, concentrazioni elevate superiori al limite di PM10 in alcune Province del Nord Italia possano aver esercitato un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia in Pianura Padana che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo. A questo proposito è emblematico il caso di Roma in cui la presenza di contagi era già manifesta negli stessi giorni delle regioni padane senza però innescare un fenomeno così virulento. Oltre alle concentrazioni di particolato atmosferico, come fattore veicolante del virus, in alcune zone territoriali possono inoltre aver influito condizioni ambientali sfavorevoli al tasso di inattivazione virale. Il gruppo di lavoro sta approfondendo tali aspetti per contribuire ad una comprensione del fenomeno più approfondita.
In conclusione, la ricerca a firma delle due università italiane e della Società Italiana di Medicina Ambientale lancia un suggerimento a tutte le istituzione che in questi giorni stanno prendendo provvedimenti per contenere l’epidemia in atto in Italia:
Si evidenzia come la specificità della velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico che ha esercitato un’azione di carrier e di boost.
Come già riportato in casi precedenti di elevata diffusione di infezione virale in relazione ad elevati livelli di contaminazione da particolato atmosferico, si suggerisce di tenere conto di questo contributo sollecitando misure restrittive di contenimento dell’inquinamento.