La crisi indotta dal coronavirus colpisce anche il cinema. I dati parlano chiaro: secondo Cinetel, gli incassi sono calati di circa il 90% (e adesso, col nuovo provvedimento firmato da Giuseppe Conte e pubblicato in Gazzetta ufficiale sono destinati ad azzerarsi). Le prospettive di ripresa sembravo molto lontane.
In un primo momento, il DPCM 4 marzo 2020 in tema di misure di contrasto e contenimento sull’intero territorio nazionale del diffondersi del Coronavirus non imponeva la chiusura generalizzata ed integrale di cinema e teatri (ad eccezione almeno delle c.d. “zone rosse”), ma si limitava a sospendere “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato” solo se ciò comportava “affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro“. Le indicazioni del DPCM risultavano dunque rispettate laddove i posti in vendita fossero stati alternati (una poltrona sì ed una o due no, e anche una fila sì ed una no ove la distanza tra le file sia inferiore a un metro) e laddove fossero stati messi in atto tutta un’altra serie di accorgimenti preventivi, quali ad esempio la distanza interpersonale alle biglietterie e la presenza di dispositivi igienizzanti all’ingresso. Solo così si sarebbe riuscito ad evitare l’affollamento che il DPCM intendeva prevenire e che bisogna intendere come prolungata vicinanza e non occasionale contatto.
Tempi duri quindi per gli esercenti, ma anche per i pochi irriducibili delle sale cinematografiche, costretti a entrare nei cinema a piccoli gruppi e sempre mantenendo le distanze di sicurezza, come imposto dal nastro rosso e bianco posizionato su molte poltrone. Una situazione che appariva come surreale, eppure, avvertivano gli esperti del settore sanitario, inevitabile.
La situazione adesso si fa anche più drammatica. Le nuove misure varate dal governo per arginare il coronavirus diventano ancora più restrittive, disponendo per tutto il territorio nazionale la sospensione generalizzata di eventi cinematografici, teatrali, spettacoli ed eventi di qualsiasi natura “svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato“. Sospesa anche l’apertura dei musei. Il decreto, salvo diverse disposizioni, è efficace fino al 3 aprile 2020.
Molti però vedono una contraddizione nelle misure prese: laddove scuole, cinema e teatri chiudono i battenti, nulla vieta (se non il buon senso) di frequentare bar e locali in compagnia di amici, come testimonia il musicista Luca Giovacchini:
Tornando a casa, ho notato con molto stupore che il solito punto di ritrovo serale della città era colmo di persone, tutte stipate come sempre: io ho perso 8 concerti da qui alla fine del mese perché sono vietati gli assembramenti di persone, c’è chi ne ha persi ancora di più… La mia categoria nonostante tutto non ha avuto modo di tutelarsi e si messa da parte, prendendosi le future e rapide conseguenze, tutti hanno rispettato questa cosa, ora mi chiedo: che differenza c’è da quello che ho visto ieri che di sicuro stasera si ripeterà, ad andare in un club o in un teatro per assistere a un concerto o spettacolo? Tutto questo lo trovo molto ingiusto per troppi motivi, anche di responsabilità verso la situazione ormai critica che stiamo vivendo.
La polemica sembra lecita. E la domanda che sorge spontanea è: fin quando sarà sostenibile tutto questo? Le stime dei danni sono già incalcolabili. Dal Nord al Sud, tutta l’Italia risulta piegata all’emergenza e, in certi casi, in polemica con le misure volute dal Governo. Intanto il numero dei contagi e quindi l’allarmismo salgono ogni giorno di più. La luce alla fine del tunnel sembra ancora lontana, non resta che stringere i denti.