Mobbing sul luogo di lavoro: cosa è e come viene punito

di Carolina Cassese

Negli ultimi anni è notevolmente cresciuto nel nostro Paese il problema del “mobbing” sul posto di lavoro. Cercheremo quindi di comprendere gli elementi costitutivi e gli strumenti di tutela riferiti ad esso. Il termine “mobbing” deriva dal verbo inglese to mob, che tradotto in italiano può vuol dire “accerchiare”, “circondare”, “assediare”.

COSA È IL MOBBING

Il mobbing nel mondo del lavoro può senz’altro essere ricondotto a ripetute angherie e vessazioni poste in essere dal datore di lavoro, da un superiore gerarchico, oppure dagli stessi colleghi di lavoro di pari livello, o addirittura subalterni, nei confronti di un determinato lavoratore (che potremo chiamare mobbizzato) con scopo di emarginarlo e renderlo remissivo fino magari ad indurlo alle dimissioni. Tale illegittimo ed illegale comportamento può derivare da motivi di gelosia, invidia o concorrenza e che esplodono, in un soggetto già di per sé predisposto o dall’animo perverso, nell’ambiente di lavoro.

Le forme che il mobbing può assumere sul posto di lavoro nei confronti di un lavoratore sono diverse e vanno dall’emarginazione alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla persecuzione sistematica, dalla dequalificazione professionale alle ritorsioni sulle possibilità di carriera, al fine di metterlo in difficoltà. Il fenomeno coinvolge ogni Paese europeo; in Italia, in particolare, si stima che il 4% della forza lavoro occupata è soggetta a pratiche di mobbing.

RESPONSABILITÀ LEGALI E PUNIZIONI DEI COLPEVOLI

Esaminiamo ora gli strumenti giuridici che il nostro ordinamento prevede per sanzionare civilmente i singoli comportamenti che vengono ricondotti al mobbing. La norma fondamentale in materia è costituita dall’art. 2087 c.c. che statuisce il seguente principio:

L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Tale norma pone a carico del datore di lavoro un autonomo obbligo di protezione della persona del lavoratore, comprensiva non solo del rispetto delle condizioni e dei limiti imposti dalle leggi e dai regolamenti per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del lavoro, ma anche dell’introduzione e manutenzione delle misure idonee a prevenire infortuni ed eventuali situazioni di pericolo per il lavoratore. Siffatto obbligo di protezione non attiene solo al profilo dell’integrità psico-fisica dei lavoratori, ma anche a quello della personalità morale. Al momento della conclusione del contratto, l’obbligo di prevenzione ex art. 2087 c.c. s’inserisce automaticamente nel contenuto del rapporto di lavoro e l’imprenditore è tenuto a svolgere un’attività di prevenzione dei rischi derivanti dall’ambiente di lavoro.

A ciò si aggiunge un autonomo ulteriore obbligo, anch’esso primario, di protezione del fondamentale interesse del prestatore alla salute, riconosciuta dall’art. 32 della Costituzione. Tuttavia, la norma dell’art. 2087 è stata scarsamente utilizzata nella sua tipica funzione di prevenzione. Infatti essa viene adoperata per fini meramente risarcitori,ossia,a fatto avvenuto. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia ritenuto responsabile ex art. 2087 c.c. di comportamenti riconducibili al mobbing, egli sarà tenuto a risarcire tutti i danni provocati da tale illegittimo comportamento. In tali circostanze viene riconosciuto: il danno patrimoniale, ovvero il danno alla capacità produttiva di reddito sia nel senso del danno emergente sia nel senso del lucro cessante, il danno morale ed alla vita di relazione in tutti i casi integranti reato e il danno biologico.

Fattispecie particolari

Nell’ambito del rapporto di lavoro specifici comportamenti da parte del datore di lavoro sono stati decisi dal legislatore o dalla giurisprudenza, e trovano una disciplina loro applicabile all’interno dell’ordinamento giuridico. Si tratta delle seguenti fattispecie:
a) Demansionamento o dequalificazione professionale.
Molto spesso le pratiche di mobbing colpiscono la professionalità del lavoratore, provocando un demansionamento dello stesso. In tale contesto, la tutela risarcitoria appare inadeguata, in particolare per quei diritti della persona-lavoratore personalissimi, che non hanno un contenuto patrimoniale. Il problema più dibattuto in giurisprudenza attiene alla natura (contrattuale o aquiliana) della responsabilità conseguente alla dequalificazione. Appare più coerente ricondurre la responsabilità per tutti i danni provocati dal datore di lavoro all’interno del contratto, sia che il danno attenga alla lesione della professionalità del lavoratore, sia che riguardi la sua personalità. Nel primo caso (danno alla professionalità) il danno deriva dalla violazione dell’art. 2103 c.c., nel secondo (danno alla personalità) dalla violazione dell’art. 2087 c.c.
b) Dimissioni del lavoratore e sua tutela. 
Può accadere, che il lavoratore, al momento delle dimissioni, affermi l’esistenza di una giusta causa per effetto appunto dei comportamenti vessatori: in tal caso, egli chiederà il pagamento dell’indennità di preavviso e il risarcimento del danno subìto. Diverso è, invece, il caso in cui il lavoratore si trova in uno stato temporaneo di incapacità, a causa delle vessazioni, e, quindi, non adduce una giusta causa di dimissioni. Egli potrà comunque ottenere l’annullamento delle dimissioni ex art. 428 c.c. se riuscirà a provare che sono state rassegnate in un momento, anche temporaneo, di totale incapacità di intendere e di volere,ovvero se sono state rese sotto violenza ex art. 1434 c.c..
c) Abuso di potere, comportamenti persecutori o discriminatori. 
La giurisprudenza ha sanzionato in maniera specifica comportamenti persecutori del datore di lavoro che non rientrano tra quelli tipici maggiormente conosciuti. In particolare, la Corte di Cassazione ha ritenuto comportamento illegittimo persecutorio del datore la ripetuta richiesta da parte di quest’ultimo di visite mediche di controllo.

COSA FARE IN CASO DI MOBBING

Alcune considerazioni vanno fatte in ordine alla responsabilità diretta di chi pone in essere atti di violenza e persecuzione psicologica (cd. mobber). Ebbene, non v’è alcun dubbio che l’autore, o gli autori, del mobbing rispondono personalmente e direttamente ex art. 2043 per il danno biologico procurato al lavoratore, così come risponderà il datore di lavoro ex artt. 2049 e 2087 c.c.. Affinché possa essere risarcito del danno subito, tuttavia, è necessario che il mobbizzato fornisca una prova precisa e adeguata del mobbing. Innanzitutto, egli dovrà provare che nei suoi confronti è stata perpetrata una serie di comportamenti persecutori, con intento vessatori. Il mobbizzato dovrà provare che tali comportamenti non sono sfociati in un unico, isolato, evento, ma sono stati reiterati lungo un arco temporale medio-lungo, ovverosia per un periodo di tempo tale da rendere invivibile il contesto di riferimento. Un’ulteriore fondamentale prova da fornire è quella relativa al danno subito. Essa potrà essere data con dichiarazioni testimoniali e, ancor più efficacemente, con perizie e certificati medici che attestino lo stato di depressione e frustrazione.

Si consiglia agli utenti vittime di mobbing di rivolgersi immediatamente ad un legale per poter tutelare i propri diritti e, soprattutto, la propria dignità.

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