Il Re Leone (The Lion King) è un film del 2019 diretto da Jon Favreau e prodotto dalla Walt Disney Pictures. La pellicola è un rifacimento fotorealistico di animazione computerizzata del Classico omonimo prodotto dalla stessa Disney nel 1994, considerato il migliore fra i lungometraggi noti come Classici Disney.
LA TRAMA Il leoncino Simba prova una grande ammirazione per il padre, re Mufasa. Ma non tutti nel regno celebrano l’arrivo del nuovo cucciolo. Scar, fratello minore di Mufasa e precedente aspirante al trono, ha dei piani molto diversi e la drammatica battaglia per la Rupe dei Re si conclude con la morte del re e l’esilio di Simba.
Con l’aiuto di una curiosa coppia di amici, il facocero Pumba ed il suricato Timon, e grazie all’amore della leonessa Nala, sua compagna di infanzia, Simba dovrà imparare a crescere e capire come riprendersi ciò che gli spetta di diritto ed il suo posto nel Cerchio della vita.
IL RE DEI CLASSICI DISNEY Il periodo noto come Rinascimento Disney (1989-1999) vede la creazione di Classici dell’animazione entrati nella storia del celluloide grazie a determinate innovazioni tecniche rivelatesi vincenti. Elemento comune di questi lungometraggi sono delle trame che riscrivono fiabe del passato adattandole ai tempi moderni, oppure offrono storie originali non meno suggestive e convincenti. Ma vero biglietto da visita rimane sicuramente il sapiente uso dell’elemento musicale. Autori come Alan Menken e Hans Zimmer hanno meritato il successo testimoniato dalla maggior parte degli Oscar vinti, ovvero quelli per le categorie “Miglior colonna sonora” e “Miglior canzone”. Se il 1991 (La bella e la Bestia) ed il 1992 (Aladdin) sono gli esempi più meritevoli di questo periodo d’oro della Disney, bisognava aspettare il 1994 per raggiungere l’apice del Rinascimento.
Con Il re Leone, diretto da Roger Allers e Rob Minkoff, assistiamo a qualcosa di veramente maestoso, il cui successo è testimoniato da una serie di riconoscimenti più che meritati e di record mantenuti imbattuti fino all’avanzata dell’animazione al computer, a partire dal 2003 (Alla ricerca di Nemo).
Il film ha vinto due Oscar, ovviamente “Miglior colonna sonora” (Hans Zimmer) e “Miglior canzone” (Elthon John, Can You Feel The Love Tonight / L’amore è nell’aria stasera). Con un incasso globale di circa 968 milioni di dollari, la critica lo considera l’11o film di animazione di maggior incasso nella storia del cinema, nonché il terzo Classico Disney di maggior incasso, il film di maggior incasso del 1994 e, dopo la sua uscita iniziale, il secondo maggior incasso di tutti i tempi in tutto il mondo, dietro a Jurassik Park.
Se la trama, a dispetto dei suoi illustri predecessori, non sembra ispirata ad un modello del passato, è innegabile scorgere dei riferimenti principalmente a Shakespeare (Amleto) e alla Bibbia (Giuseppe e Mosè): un giovane principe che si ritrova vittima degli intrighi orditi dall’ambizioso e invidioso zio, è costretto a fuggire e ad affrontare infine un difficile ritorno per meritare il regno che gli è stato destinato dalla nascita.
Una vera e propria metafora di quello che è il cammino di ogni uomo che per crescere deve conquistarsi con grande difficoltà e grande coraggio il suo posto nel mondo.
Il giovane protagonista Simba vanta un doppiaggio che sa perfettamente evidenziare l’incoscienza dell’infanzia (George Castiglia) e le insicurezze dell’età adulta (Riccardo Rossi) come prove immancabili per arrivare alla crescita definitiva.
Come in ogni Classico disneyano, al dramma non manca un elemento comico che controbilancia e rende più completa la trama. L’improbabile ma affiatata coppia Timon & Pumba, doppiati rispettivamente da Tonino Accolla e Ernesto Brancucci, sono due irresistibili maestri nell’insegnare con due semplici parole, HAKUNA MATATA (locuzione swahili traducibile con “non ci sono problemi”) quell’ottimismo che sempre si deve avere andando avanti, e allo stesso tempo dimostrano un inaspettato coraggio che li rende degli amici insostituibili.
«Senza pensieri, la tua vita sarà. Chi vorrà vivrà in libertà. HAKUNA MATATA».
Il cattivo di turno è un perfetto stereotipo del fratello minore frustrato e invidioso che, privo di carattere, non ha altra arma, se non l’inganno e l’intrigo, per ottenere un potere di cui si dimostra alla fine indegno. L’irresistibile voce di Tullio Solenghi (Jeremy Irons è la voce originale) rende Scar un antagonista sarcastico e subdolo che merita di essere ricordato:
«Per quanto riguarda la materia grigia, ne ho a sufficienza. Ma se parliamo di forza bruta lo sai. Temo che l’impronta genetica sia piuttosto carente».
Una menzione particolare merita anche il vecchio babbuino Rafiki, che la voce di un indimenticabile Sergio Fiorentini (brigadiere Alfio Cacciapuoti nella fiction Rai Il maresciallo Rocca) rende un mentore perfetto nelle parole che convincono Simba, dopo una botta in testa, a tornare nel suo regno:
«Oh sì, il passato può fare male. Ma per come la vedo io, tu dal passato puoi scappare, oppure imparare qualcosa».
Dulcis in fundo, a rendere questo Classico davvero regale è infine la presenza della voce di un autentico pilastro del cinema e del teatro italiano, Vittorio Gassman, assolutamente perfetto nel ruolo di re e padre Mufasa (James Earl Jones la voce originale):
«Guarda dentro te stesso Simba, tu sei molto di più di quello che sei diventato. E devi prendere il tuo posto nel Cerchio della vita. Ricordati chi sei, tu sei mio figlio e l’unico vero Re. Ricordati chi sei.»
ANALISI DEL FILM Fin dall’inizio ci si rende conto che si tratta di un remake che punta molto sul nuovo concetto di animazione digitale. Nel corso della trama si può notare una fedeltà integrale ai testi delle canzoni originali, dalla prima all’ultima, e ai dialoghi. Qualche elemento nuovo non manca, come richiede il concetto espresso dai recenti live action Disney, ma in questo caso si tratta di poca cosa. L’uso sapiente dei pixels raggiunge un realismo che finora era stato solo sfiorato rispetto ad animatronics artigianali. La fedeltà assoluta, e forse troppo marcata, all’originale è indiscutibile. Tuttavia, la progressiva riduzione di elementi nuovi e l’azione che scorre troppo rapida sono dei punti deboli che lasciano trasparire un che di dejà vu e talvolta si inciampa in buchi che potevano essere meglio approfonditi per dare più spessore alla storia.
IL DOPPIAGGIO Se l’originale aveva un doppiaggio inimitabile, quello del remake si dimostra sostanzialmente all’altezza nelle parti cantate con Marco Mengoni (Simba adulto) – seppur arranca nella canzone di apertura – ed Elisa (Nala adulta). Massimo Popolizio (Scar) e Luca Ward (Mufasa) sono assolutamente degni dei predecessori. Edoardo Leo (Timon) e Stefano Fresi (Pumba) sono irresistibili come lo sono da interpreti (Smetto quando voglio).
UN ESPERIMENTO RIUSCITO A METÀ Considerando il Classico di partenza è d’aiuto un paragone con i live action degli altri due Campioni del Rinascimento Disney, ovvero La bella e la Bestia diretto da Bill Condon (2017) ed il più recente (la recensione la trovate QUI) Aladdin diretto da Guy Ritchie (2019). Jon Favreau ha diretto anche lui il live action di un classico Disney (Il libro della giungla, 2016) che ha meritato il successo al botteghino (966,5 milioni di dollari) e il favore della critica per una perfetta combinazione di fedeltà all’originale e di novità ad arricchire la trama. In questa nuova prova appare chiaro un fin troppo marcato rispetto al Classico e la possibilità di introdurre elementi nuovi che nei live action precedenti hanno dato nuova linfa a trame indimenticabili viene accantonata, seppur non ignorata. In questo senso si può capire ed anche condividere quella metà della critica che boccia la mancanza di originalità del remake.
Il film comunque è più che degno del successo che sta riscuotendo al botteghino (con 1,441 milioni di dollari è ad oggi il 9o film con maggiori incassi alla sua uscita). Grazie ad un sapiente e perfezionato uso della grafica computerizzata lo spettatore ha la sensazione di vedere un documentario dove gli animali veri parlano in un realismo che finora sembrava impossibile ottenere con i pixels. Ed ovviamente non si discute sul merito di aver reso fedelmente la magia del doppiaggio e della colonna sonora, forse in modo meno spettacolare perché la realtà lo è sempre di meno rispetto all’animazione.
In definitiva possiamo parlare di un remake graficamente perfetto ma emotivamente piatto, in cui non solo i fan puristi pieni di pregiudizio, ma anche qualcuno che non si ferma alla superficie può storcere il naso e reputare di gran lunga superiore l’originale, cosa che è assolutamente vera.
Per il prossimo anno sono in cantiere almeno altri due live action tratti da altri due esemplari del Rinascimento e, considerando che uno è il capostipite (La Sirenetta), si spera che la casa di produzione vorrà mantenere in perfetto equilibrio fedeltà e originalità ricordando i successi con i primi due dei tre Campioni. Se siete cresciuti con i Classici Disney nel cuore, se facendo il karaoke silenzioso durante le proiezione vi emozionate a scoprire che le canzoni non hanno subìto tagli e modifiche, se volete vedere un esperimento perfettamente riuscito di reale nel digitale, allora questo remake è da vedere per recuperare almeno per 1 ora e 45 minuti la magia di un periodo irripetibile per l’animazione in celluloide.
HAKUNA MATATA.