“Die Hard – Duri a morire”: l’ action simbolo degli anni Novanta

di Felice Sangermano

Chiudete gli occhi: qual è il primo action anni Novanta che vi viene in mente? Molti di voi, ci scommettiamo, avranno pensato subito a Die Hard – Duri a morire, film del 1995 diretto da John McTiernan. Terzo capitolo della saga che vede protagonista Bruce Willis nei panni del poliziotto John McClane, dopo Trappola di cristallo (1988) e 58 minuti per morire (1990). Se questi ultimi film erano tratti da romanzi (rispettivamente di Roderick Thorp e Walter Wager), stavolta la storia si basa su una sceneggiatura originale e si ricollega direttamente al primo episodio della saga, girato dallo stesso McTiernan.

Trama Un terrorista squilibrato e megalomane di nome Simon (Jeremy Irons) tiene in scacco la polizia di New York minacciando di far esplodere una serie di ordigni in luoghi pubblici, a meno che il poliziotto John McClane (Bruce Willis) non esegua i suoi improbabili ordini infarciti di trappole e indovinelli. Si scoprirà che Simon altri non è che il fratello maggiore del terrorista Hans Gruber che McClane fece volare dal trentaduesimo piano del Nakatomi Palace sette anni prima in Trappola di cristallo. Ma la vendetta personale è solo un diversivo per depistare la polizia: in realtà Simon mira a svaligiare il caveau della Federal Reserve. Con l’aiuto di Zeus (Samuel L. Jackson), negoziante di colore di Harlem coinvolto suo malgrado nella bagarre, McClane dovrà sventare i piani del terrorista e sgominare la sua banda prima che sia troppo tardi.

McTiernan non è un registucolo di film action qualunque, avendo girato cult come Predator (1987), Caccia a Ottobre Rosso (1990), Last Action Hero (1993) e Il 13º guerriero (1999). Non a caso i migliori capitoli della saga di Die Hard (composta ad oggi da cinque episodi) sono i suoi, e per netto distacco con gli altri. Quello su cui si può discutere è quale dei due Die Hard di McTiernan si preferisca, un dibattito che infiamma tutt’oggi i fan. Certo è che i due film sono diversi fra loro. L’ambientazione cupa e claustrofobica di Trappola di cristallo cede il passo alla vastità luminosa di una New York che più che uno sfondo assume il ruolo di una sorta di personaggio metropolitano. McClane non striscia più solo e appiattito fra le lamiere delle condutture d’aria del Nakatomi Palace, ma insieme all’afroamericano Zeus si scapicolla in lungo e in largo per tutta la Grande Mela. Grazie all’accostamento stereotipico McClane/Zeus, il black and white così diversi fra loro, Die Hard – Duri a morire supera la dimensione del singolo che caratterizzava Trappola di cristallo per riflettere sull’intera società, l’integrazione razziale e le sue differenze di classe. La nascita e l’evoluzione dell’amicizia fra i due protagonisti non è immediata, ma frutto di uno sforzo congiunto da entrambe le parti e dalla volontà di venirsi incontro per il bene comune. Si può andare d’accordo anche se si è così diversi. Nel corso della pellicola si instaura un rispetto reciproco fra i due e poi un forte legame che li porta a rischiare la vita uno per l’altro. John e Zeus (coi vestiti sempre più sbrindellati, come da tradizione McTiernan) finiscono per diventare amici. Il buddy movie è servito.

Bruce Willis funziona benissimo nei panni del poliziotto poco ortodosso e un po’ maledetto McClane, Samuel L. Jackson funziona altrettanto bene nel suo ruolo di pacifico ma all’occorrenza cazzuto negoziante di Harlem, Zeus. Ancora meglio funzionano insieme: l’affiatamento del duo è palpabile. Entrambi reduci dal successo internazionale Pulp Fiction (nel quale però non avevano mai calcato la stessa scena), Willis e Jackson danno vita a una coppia irresistibile, regalando un’interpretazione che è rimasta nella memoria e nel cuore dei fan. Straordinaria anche la performance di Jeremy Irons nei panni di Simon, villain carismatico con un proprio “codice d’onore”: «Sono un soldato, non un mostro, anche se a volte lavoro per dei mostri».

Una pellicola al fulmicotone. Una miscela esplosiva di azione e ironia che comincia dalla detonazione della prima bomba ai magazzini Bonwits, dopo pochi secondi di girato, e prosegue fra spericolate corse in taxi “attraverso il parco” e esplosioni pirotecniche (che brillano sul serio) fino ai titoli di coda. Ininterrottamente. Come il mal di testa di McClane. L’adrenalina scorre a mille nelle vene dello spettatore. L’intrattenimento (ma non solo) è assicurato.

Effetti speciali straordinari. Dialoghi avvincenti. Pallottole e esplosioni a valanga. Die Hard – Duri a morire è l’apoteosi del cinema action.

Negli anni recenti si è scoperto che il regista McTiernan prezzolava un detective per spiare alcuni telefoni di Hollywood. Nel 2013, dopo un processo durato diversi anni, ha scontato 328 giorni di carcere per falsa testimonianza (prima nei confronti dell’FBI e poi di un giudice federale). È dal 2003 (l’anno di Basic) che McTiernan non gira un film. Dopo la scarcerazione, avvenuta il 26 febbraio 2014, venne ingaggiato per dirigere Red Squad, ma il progetto naufragò pochi mesi dopo. Per quanto ci riguarda, speriamo di rivederlo al più presto dietro la cinepresa, che è il posto che più gli compete, a regalarci un altro dei suoi indimenticabili action intrisi di irresistibile ironia. Come nel finale di Die Hard – Duri a morire, che vede Zeus prestare un quarto di dollaro a John, così che lui possa chiamare finalmente la moglie Holly, tentando di riappacificarsi per l’ennesima volta con lei.

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