“Hook – Capitan Uncino”: perfino Peter Pan è cresciuto

di Felice Sangermano

Agli albori del Novecento lo scozzese James Matthew Barrie dava origine al personaggio letterario di Peter Pan, enfant terrible svolazzante che si rifiutava ostinatamente di crescere. Da allora il sempreverde Peter è diventato il simbolo per eccellenza del radicamento alla fanciullezza, tanto da trovare riscontro anche nel linguaggio psicologico, dove con l’espressione “sindrome di Peter Pan” si allude per l’appunto alla condizione patologica di chi, ritenendo il mondo adulto come ostile e minaccioso, si rifiuta di crescere e di assumersi le responsabilità del caso, rimanendo invece ancorato a dinamiche comportamentali proprie della fanciullezza.

Ecco perché quando nel 1991 Steven Spielberg, basandosi sullo script di James V. Hart e Nick Castle, girò un sequel per le avventure di Peter Pan, tutti rimasero colpiti nel vedere che il film proponeva un Peter adulto (e peraltro piuttosto conformista). Hook (in Italia Hook – Capitan Uncino) è un’opera coraggiosa nella misura in cui contraddice la caratteristica più peculiare e “oliata” del personaggio.

TRAMA Peter Banning (interpretato dal compianto Robin Williams) è un adulto immemore del suo leggendario passato da Peter Pan trascorso sull’Isola che non c’è. Prototipo dell’adulto imborghesito e imbolsito, lontano anni luce dalla spensieratezza del Peter Pan originario, Banning è un avvocato di successo oberato di lavoro e responsabilità, tanto da trascurare sua moglie Moira e i suoi due figli Jack e Maggie. Ma quando Capitan Uncino (Dustin Hoffman) irrompe nella sua nuova vita rapendo i bambini, Peter dovrà fare i conti col suo passato, dismettendo gli abiti eleganti di Banning e vestendo di nuovo la calzamaglia verde del Pan, così da affrontare la battaglia definitiva col nemico di sempre.

MAI PIÙ PETER PAN Hook è un film personale che utilizza l’atmosfera dei romanzi di James Matthew Barrie per approfondire temi collaterali al Peter Pan originale, come il rapporto tra genitori e figli, la disgregazione della famiglia e la paura di crescere.

Peter ha infranto la sua promessa di non crescere mai, cedendo a un’esistenza tutto sommato ordinaria e seppellendo dentro di sé il suo avventuroso passato. Dimenticatosu dell’ “odore di chi ha cavalcato sulle ali del vento, di cento estati da favola passate a dormire sugli alberi, delle avventure con indiani e pirati”, la sua memoria è sbiadita anno dopo anno nella quotidianità. “Sei proprio tu? Il mio vecchio e valoroso avversario?” si chiederà incredulo Capitan Uncino, perplesso davanti all’appesantito avvocato Banning che non solo non sa più volare, ma per una specie di crudele ironia della sorte dichiara perfino di soffrire di vertigini. “Tu non sei neanche l’ombra di Peter Pan!”. E il nostromo Spugna, dopo averlo esaminato e riconosciuto come Peter Pan, aggiungerà: “Tutti questi anni lo hanno avvocatizzato nella mente!”. Ma adesso Uncino è tornato e vuole la sua guerra. Per costringerlo allo scontro ha rapito i suoi figli. Peter deve recuperare il suo fanciullo interiore rimasto sepolto sotto la caterva di pratiche legali e riprendere il filo di quel “gran bel gioco” interrotto anni prima. È ora, per Banning, di rispolverare la vecchia calzamaglia (pancia permettendo) e ridiventare Pan. È ora di ricordare tutto e tornare “bangherang”.

I PERSONAGGI 

Capitan Uncino è il personaggio più riuscito dell’opera, caratterizzato splendidamente dalla performance di Dustin Hoffman e, qui in Italia, dal doppiaggio di Ferruccio Amendola. Senza la sua storica nemesi da fronteggiare, la vita di Uncino è diventata a un tratto vuota e senza scopo. Il vecchio filibustiere, privato del gusto della caccia, versa in uno stato malinconico e depressivo da cui il nostromo Spugna (il bravissimo Bob Hoskins) tenta goffamente di farlo riemergere (irresistibili i duetti comici fra i due personaggi). In effetti i due storici avversari, Peter Pan e Capitan Uncino, risultano legati da un filo doppio, per cui l’uno sembra perdere di senso senza l’altro. Come Lupin e Zenigata, tanto per capirci.

Caratterizzazione atipica anche per il personaggio di Campanellino (interpretato in maniera convincente da Julia Roberts) che sotto il suo caratteristico entusiasmo cova in realtà un amore impossibile per Peter.

IL MESSAGGIO Hook è un’opera fantasy che rievoca il passato magico dell’infanzia e quel senso dell’avventura che sembra sbiadire sempre di più mentre cresciamo. Da qui l’importanza della memoria, per mantenere in vita anche nell’adulto lo sguardo genuino che si provava da piccoli e non inaridirsi nel cinismo. Non bisogna mai perdere di vista il ragazzo che è in noi. I veri bimbi sperduti in fondo sono gli adulti immemori.

Film senza tempo. Ancora oggi, a quasi trent’anni dall’uscita, amatissimo dal pubblico, che lo ha sempre apprezzato più di quanto non abbia fatto lo stesso Spielberg, il quale dichiarò di non essere soddisfatto di alcune sequenze un po’ stilizzate e che, in generale, certe parti della sceneggiatura non lo convincevano. Ghiribizzi da genio? D’altra parte anche a Woody Allen non piaceva il suo Manhattan (1979).

Sontuose e coloratissime le scenografie di Norman Garwod. Notevoli le musiche di John Williams (non dimentichiamoci che il progetto originale nasceva come un musical). Molte anche le comparsate eccellenti: Phil Collins nei panni dell’ispettore di polizia, Glenn Close in quelli del pirata traditore condannato alla “bomboniera”, Gwyneth Paltrow nella parte di una giovane Wendy, mentre i due innamorati che si baciano accanto al Big Ben e poi iniziano a fluttuare sotto la polvere di Campanellino sono George Lucas e Carrie Fisher.

Un po’ pedagogico, forse. Un po’ qualunquista. A tratti sciropposo (come tanti altri film di Spielberg). Ma pur sempre intriso di magia.

“Grazie per aver creduto”.

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