“Chernobyl”: qual è il prezzo delle bugie?

di Felice Sangermano

La fine di Game of Thrones aveva scavato un solco nel cuore dei fan, lasciando Sky orfana di uno delle sue serie di punta. A colmare quel vuoto nelle settimane immediatamente successive è arrivata Chernobyl (da pronunciare con l’accento sulla “o”), miniserie in cinque episodi ideata da Craig Mazin e diretta da Johan Reck. Stiamo parlando, in realtà, di un prodotto che ha ben poco in comune con GoT, ma che ha fatto registrare gli stessi numeri da capogiro. Tanto per dirne una, Chernobyl è ad oggi una delle serie col punteggio più alto fra quelle votate sul popolare database cinematografico IMDb, avendo totalizzato un impressionante 9.5, che le ha consentito di raggiungere mostri sacri come Breaking Bad (9.5) e, appunto, Il Trono di Spade (9.4). Punteggi che, a nostro parere, lasciano il tempo che trovano, ma che hanno sollevato un vero e proprio polverone, inducendo di fatto moltissimi utenti alla visione.

LA TRAMA La serie, che si basa sul libro “Preghiera per Černobyl” del Premio Nobel Svetlana Alexievich, narra il disastro nucleare avvenuto il 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di Chernobyl e le conseguenze immediatamente successive alla catastrofe, sottolineando da una lato i tentativi di insabbiamento e “ridimensionamento” da parte delle alte sfere russe, e dall’altro il senso di responsabilità di tutti quegli uomini e donne, spesso semplici cittadini lavoratori, che si sono sacrificati per salvare l’Europa dalle nefaste ripercussioni nucleari.

La serie, dal taglio allo stesso tempo cinematografico e documentaristico, analizza meticolosamente gli eventi, fornendone un’accurata ricostruzione minuto per minuto, nel tentativo di far luce sulle reali cause dell’incidente, ancora oggi poco chiare, al di là delle omertose versioni ufficiali rilasciate dagli apparati dirigenti. La tenace ricerca della Verità non vuole tanto mettere alla forca i responsabili, quanto scongiurare il ripetersi di certe dinamiche, di una tragedia che era sostanzialmente evitabile. Bisogna riconoscere i propri errori e comprenderli a fondo per poter imparare da essi. Il potere reca con sé grosse responsabilità e il “prezzo delle bugie” è troppo alto. Lo dice a chiare lettere Valerij Legasov in una delle scene più significative dell’episodio conclusivo e della serie intera:

Quando la verità ci offende, noi mentiamo e mentiamo fino a quando nemmeno ricordiamo che ci fosse una verità, ma c’è, è ancora là. Ogni menzogna che diciamo, contraiamo un debito con la verità. Presto o tardi quel debito va pagato. Ecco cosa fa esplodere il nocciolo di un reattore RBMK: le bugie.

Attraverso gli occhi di chiunque ebbe un ruolo significativo nelle tragiche vicende, dall’operatore che premette l’ormai noto pulsante AZ-5 (il comando estremo per l’arresto del reattore che innescò l’esplosione) fino ai più importanti uomini di partito della grande Madre Russia, passando per vigili del fuoco, poliziotti, medici, infermieri, minatori e semplici cittadini, insomma poco alla volta prende forma il grande puzzle della Verità.

Opera corale dalla qualità impeccabile e dalle atmosfere tragicamente splendide, Chernobyl riesce a trasmettere in maniera efficace la portata della tragedia, senza risparmiare l’orrore e la violenza, che però vengono rappresentati con estrema dignità, evitando le trappole di un facile sensazionalismo. La morte attraversa lo schermo a ogni episodio e certe sequenze risultano un vero e proprio pugno nello stomaco, un’immersione totale nell’angoscia, da cui però si riemerge con una rinnovata consapevolezza.

Una serie scomoda per molti, che sconvolge e fa riflettere. Certo non ne escono bene i “pezzi grossi”, perlopiù dipinti come personaggi disumani, indifferenti alla morte dei propri simili e interessati solo al proprio tornaconto. Uomini che però, forse proprio in virtù del loro cinismo, si trovano al vertice della gigantesca macchina burocratica russa, la quale si mette in moto non tanto per salvaguardare il benessere dei propri cittadini quanto allo scopo di nascondere i propri errori, soffocando la voce di chi grida la verità. E quando Valerij Legasov (che pure possiamo ascrivere tra i personaggi più umani) dice a Gorbačëv:Le chiediamo il permesso di uccidere tre persone.”, quella frase ci risuona dentro, raggelandoci il sangue, dal momento che, benché si tratti di misure inevitabili in un frangente del genere, non possiamo fare a meno di vedere la situazione per quel che è: quattro papaveri, seduti intorno a un tavolino, decidono quali innocenti mandare incontro a morte certa per risolvere una situazione di cui sostanzialmente solo loro i responsabili.

A questi freddi e spietati burocrati fanno però da contraltare tante piccole figure eroiche, quasi sempre del tutto innocenti, e spesso perfino consapevoli di andare a morire per colpe altrui, eppure decisi a farlo perché “è quel che va fatto”. Martiri di regime e della folle incuria umana a cui la serie rende il dovuto omaggio, come recita la toccante dedica: “In memory of all who suffered and sacrificed”.

È senz’altro un’esagerazione definire Chernobyl, come pure è stato fatto, la serie più bella di sempre, basandosi peraltro su aggregatori di voti e recensioni (ma sarebbe meglio dire “pareri”) rilasciate dagli spettatori. Certo è che la serie di Mazin si staglia come una delle più significative (è forse questo l’aggettivo più adatto a descriverla) degli ultimi anni e ha il merito di riportare l’attenzione non solo sulla tragedia e i suoi effetti, ma soprattutto sulle cause e le condizioni che poterono provocarla (da contestualizzare in un’ottica presente), riuscendo a racchiudere in soli cinque episodi il dolore e l’angoscia di una catastrofe dalla portata planetaria le cui conseguenze continueranno a gravare su di noi per decenni.

Agghiaccianti i dati riportati alla fine dell’ultima puntata, accompagnati da efficaci immagini di repertorio. I vestiti dei vigili del fuoco rimasti nei sotterranei dell’ospedale di Pripyat e ancora oggi pericolosamente radioattivi. La foto del Ponte della Morte. La stima ufficiale dei morti redatta dal governo sovietico, rimasta immutata dal 1987 a sole 31 vittime. Sic!

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