L’università romana Roma Tre ha organizzato qualche settimana fa la campagna “The message is the bottle”. L’ateneo capitolini è ad ora l’unico tra le università italiane a distribuire gratuitamente ben 30.000 borracce di acciaio inossidabile per l’acqua. Ogni studente potrà così contribuire nel suo piccolo ad un ambiente più pulito e sostenibile. Gli organizzatori dell’inziativa stimano, ad esempio, che nel solo ateneo Roma Tre ogni giorno vengono consumate circa 10.000 bottigliette di plastica.
Il problema della plastica, della sua produzione e del suo smaltimento è da un po’ di tempo al centro di studi e di opinioni diverse. Si sa per certo che ogni anno otto milioni di tonnellate di plastica vagano negli oceani. L’80 % dei rifiuti oceanici è di origine antropica e viene dalla terraferma, il restante 20 per cento arriva dalle navi da crociera, mercantili o piattaforme marine, come quelle petrolifere. Se non si cambia lo stile di vita, secondo il rapporto Stemming the Tide prodotto da Ocean Conservancy, nel 2025 ci potrebbe essere una tonnellata di plastica per ogni tonnellata di pesci nell’oceano. Secondo lo studio “The impact of debris on marine life” sono 690 le specie animali marine minacciate dai rifiuti presenti in mare. Il 17 per cento è inserito nella lista rossa degli animali in via di estinzione. Se per il 2025 si prevede un rapporto di uno a tre per le plastiche (e microplastiche) presenti nell’oceano e gli animali marini, nel 2050 invece ci sarà più plastica che pesci negli oceani.
Andando più nel dettaglio, ad impattare sugli animali sono soprattutto le microplastiche, frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri che possono essere prodotti dall’industria o derivare dalla degradazione in mare per effetto del vento, del moto ondoso o della luce ultravioletta di oggetti più grandi. I dati dell’Unep (Nazioni Unite per l’Ambiente) sono riusciti a rilevare che nel Mar Mediterraneo nuotano 250 miliardi di frammenti di microplastiche e ogni anno ammontano a 677 tonnellate le stesse, anche se quasi il 90 per cento sono frammenti di oggetti più grandi, come bottiglie o tappi.
Perché gli animali marini mangiano plastiche? E perché le plastiche sono nocive? Nel 1960 la plastica è stata trovata nello stomaco di meno del 5 per cento degli uccelli marini, la percentuale è salita all’80 per cento nel 2010. In base alle attuali stime, si prevede che l’ingestione di plastica interesserà addirittura il 99 per cento di tutte le specie di uccelli marini entro il 2050. Una vera catastrofe nell’ecosistema marino. I ricercatori rilevano che oggi il 90 per cento degli uccelli marini ha ingerito materiale di plastica di diverso genere: dai sacchetti ai tappi di bottiglia, fino alla fibre di abiti sintetici. Ciò avviene, secondo alcuni studi, perché gli uccelli marini scambiano gli oggetti dai colori vivaci per cibo, oppure li ingeriscono accidentalmente. L’impatto sulla loro salute può essere devastante: da varie forme di avvelenamento fino alla morte. Senza contare il fatto che molti animali marini muoiono per soffocamento quando incorrono in plastiche. Una motivazione del fatto che animali marini, a volte anche molto intelligenti (come i delfini), possano cadere in un così fatale errore è dedotto da uno studio, pubblicato su Science Advances, secondo cui la plastica ha lo stesso odore del cibo, come avviene ad esempio per l’odore di zolfo che per gli uccelli marini indicherebbe la presenza di krill.