C’erano una volta Salvini, Di Maio e i diritti umani: storia di una regressione culturale

di Francesco Mazzocca

Tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio era già molto difficile scegliere, ma dopo le esternazioni sulla vicenda dei migranti Seawatch diventa quasi impossibile decidere chi sta assumendo un comportamento sempre più contrario ai principi della nostra Costituzione.
Effettivamente non si riesce a capire se sia più scandalosa la negazione dei diritti umani da parte del ministro dell’Interno oppure la loro parziale concessione da parte del ministro del Lavoro, che appunto gentilmente concederebbe solo a donne e bambini la possibilità di toccare terra, come si faceva nell’epoca storica che ha segnato il passaggio dall’assolutismo alle prime forme di parlamentarismo, quando i sovrani iniziarono a concedere man mano sempre più diritti.

Quando si discute di diritti umani parliamo di una categoria che ha una storia a sé rispetto a tutte le altre categorie di diritti. Non parliamo di diritti di natura economica, come ad esempio la proprietà (oggetto di trasferimento da un soggetto all’altro oppure oggetto di espropriazione), oppure di diritti politici (il voto, che pure è soggetto a parziali limitazioni). Perché, pur essendo tipizzati nella categoria dei diritti, i diritti umani vengono prima di qualsiasi altra considerazione sui diritti. La loro codificazione è il frutto di processi storici di portata secolare, progressi fatti di lotte e rivoluzioni. E solo dopo aver lottato per questi diritti si è ottenuto un riconoscimento, una normativizzazione.
Ma, a ben vedere, parliamo di valori che andrebbero riconosciuti in quanto intrinseci alla persona umana e antecedenti a ogni struttura di carattere giuridico. I processi democratici che hanno realizzato il riconoscimento giuridico di questi valori sono il fondamento delle moderne costituzioni, ma rappresentano allo stesso tempo un postulato di umanità che precede qualsiasi impostazione del diritto positivo, e non è assolutamente un caso che nelle moderne Costituzioni siano definiti come quei principi fondamentali imprescindibili e irrinunciabili. Perché sono valori al di fuori della disponibilità di qualsiasi soggetto, non possono essere minimamente limitati da qualsiasi atto di natura giuridica, ma meritano solo tutela e protezione.

Che un soggetto che ricopre una carica pubblica possa negarli o possa concederli in base al genere significa negare le basi della cultura giuridica moderna, e prima ancora dimostrare, purtroppo, un’assoluta assenza di qualsiasi senso di umanità. Sono i soggetti che, al contrario, dovrebbero garantire che questi diritti siano rispettati e tutelati nel miglior modo possibile, perché sono i rappresentanti dello Stato, di quello Stato che trova il suo fondamento nelle Carte Costituzionali, che sono appunto i moderni contenitori dei diritti.
Non è solo una cattiva azione politica, ma è soprattutto una mancanza di rispetto verso il genere umano. E per fare una cosa del genere non solo bisogna essere scarsissimi da un punto di vista delle capacità politiche, ma anche bruttissime persone che sanno solo dare il peggio rispetto ai propri simili.
Quando un ministro decide di non aiutare chi è in difficoltà non solo viene meno alla legge, ma viene meno anche a un dovere morale, a quella dignità che precede qualsiasi legge. E quando un altro ministro decide che solo donne e bambini possono ricevere protezione, effettua una selezione del genere umano che ci riporta ai tempi bui della storia dell’umanità. Siamo ben oltre la legge perché siamo nel campo dei singoli che si pongono oltre la legge, interpretandola secondo una particolare, singolare visione soggettiva. Una visione estranea a qualsiasi tradizione giuridica, umana e cristiana.

Ma abbiamo sbagliato noi, perché ci eravamo illusi che non si potesse fare peggio rispetto a quanto già espresso in passato, quando l’idea di quella uguaglianza costituzionale è stata contaminata da una classificazione degli italiani in base alla provenienza. Poi la distinzione si è spostata al dualismo italiani/stranieri. Come se le persone, in base alla provenienza o alla nazionalità, avessero maggiori o minori diritti.
Se a 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione il nostro pensare collettivo resta ancorato alle categorizzazioni, quelle che portano le persone ad allontanarsi, allora abbiamo ancora tanto da imparare e non abbiamo appreso nulla dal passato.

Viviamo in un’epoca in cui gli amministratori italiani si vantano di usare il pugno duro verso i più sfortunati, oppure pubblicizzano, senza vergogna, vere e proprie barbarie come quelle perpetrate nei confronti di qualche senza tetto. E allora non è più uno vale uno.
Non c’è politica che tenga in questi atti, c’è soltanto una becera propaganda giocata sulla pelle dei più deboli. Quella propaganda che lancia slogan di abolizione della povertà, intesa in termini di condizioni socio economiche, ma resta appantanata nella pochezza d’animo dei suoi autori.
Uno vale uno dovrebbe valere oggi, ancora di più, quando si tratta di salvare vite umane.

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