Léon: il miglior Besson ci racconta la storia di un amore tra una bambina e un sicario

di Felice Sangermano

“La vita è così dura… solo quando si è bambini?”, è la domanda che Mathilda rivolge a Léon in uno dei dialoghi più toccanti del film Lèon“È sempre così” le risponde lui.

Léon è un film del 1994 diretto da Luc Besson, considerato uno dei migliori film francesi degli anni ’90. Léon (Jean Reno) è un sicario italoamericano a pagamento, un adulto-bambino taciturno, maniacale e semianalfabeta. Vive solo (unica compagna una piantina da vaso che come lui è “senza radici”) e nel suo lavoro si attiene a una regola fondamentale: non uccidere donne e bambini. Per una serie di circostanze si trova a diventare il protettore della dodicenne Mathilda (Natalie Portman), bambina-adulta lei, la cui famiglia è stata sterminata dagli sgherri del poliziotto corrotto della DEA Stansfield (Gary Oldman) per una questione di droga. Léon accetta di insegnarle a “fare pulizie”; Mathilda in cambio gli insegna a leggere e ad amare. Tra i due si crea un legame ambiguo, che passa gradualmente dall’essere una tenera amicizia a un amore senza sesso. L’idillio però non durerà per sempre: l’incrollabile desiderio di vendetta di Mathilda porterà alla degenerazione degli eventi. Il finale, sulle note di Shape of my heart di Sting, è commovente e denso di significati.

Action-thriller pervaso da inaspettati momenti di delicatezza, comicità e introspezione (ottima la regia di Besson, a suo agio sia nelle sequenze d’azione che in quelle comiche e drammatiche), Léon racconta fondamentalmente la storia di un amore poetico e atipico fra una bambina di dodici anni e un sicario di professione. Amore che, sebbene non superi mai il livello platonico, venne ritenuto scandaloso dai perbenisti dell’epoca: alcune scene in cui Mathilda tenta palesemente di sedurre Léon furono inizialmente rimosse dal film (del quale difatti esistono tre differenti versioni: quella cinematografica di 110 minuti, quella internazionale di 127 minuti e quella integrale, di cui consiglio la visione, di 136 minuti). Dopo l’uscita della pellicola la Portman, all’epoca tredicenne, ricevette varie richieste sessualmente esplicite: tale esperienza ha lasciato i segni nel suo lavoro successivo, tanto che per molto tempo l’attrice si è rifiutata di girare scene di sesso.

Interpreti perfetti: il ruolo di Léon sembra scritto apposta per Jean Reno; eccellente anche la performance di Gary Oldman, completamente a suo agio nelle vesti del poliziotto corrotto e schizzato; menzione speciale per la giovanissima Natalie Portman (qui al suo primo ruolo da attrice), vera rivelazione del film. L’approfondimento psicologico dei personaggi (oltre ad elevare la pellicola al di sopra di un semplice action-thriller) li rende umani, reali, sottraendoli agli stereotipi di genere. Rimane nel cuore quel Léon, così duro, spietato e senza scrupoli da essere il più freddo ed efficiente dei killer, ma allo stesso tempo così fragile, tenero e sentimentale da commuoversi di fronte a Gene Kelly che si esibisce sui pattini a rotelle in È sempre bel tempo. Ora lo vediamo uccidere a sangue freddo, come il più spietato degli adulti, ora lo vediamo indossare un guanto da forno a forma di maiale per far divertire la sua piccola ospite, oppure ingurgitare litri di latte (chiaro rimando all’infanzia). Rimane nel cuore Mathilda, orfana in fuga dal dolore, caratterizzata dalla stessa ambivalenza di Léon: maneggia armi e pistole nel tentativo di imparare a uccidere e l’attimo dopo è davanti alla tv a guardare i cartoni animati. Perennemente divisa fra infantilismo e ipersessualità, le esperienze drammatiche che è costretta a vivere la porteranno a sviluppare un inquietante lato oscuro, che andrà ad affiancarsi a quello più gioviale e luminoso, senza però abbandonarla mai e causando alla fine l’immolazione di Léon. Rimane nel cuore anche Stansfield, villain perfetto e sopra le righe per un film crudele e dolcissimo allo stesso tempo. Come i suoi protagonisti. Come la vita.

 

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