Il Napoli va a gonfie vele, volando sulle ali dell’entusiasmo di 18 risultati utili consecutivi. Dopo la sconfitta con il Bologna, gli azzurri hanno perso la vetta guadagnata dopo 25 anni, ma la notizia più angosciante arriva dagli spalti di uno stadio che non è il San Paolo. Ieri, durante la partita di Champions League tra Roma e Bate Borisov, una frangia degli ultrà romanisti all’Olimpico ha intonato un ignobile “adattamento” dell’ultimo coro dei tifosi napoletani:
“Un giorno all’improvviso,
Il Vesuvio erutterà
E sta città di m***a col fuoco laverà,
Colera e Salmonella,
Ma siete ancora qua,
Qual è l’epidemia che vi sterminerà?
Alè, alè, alè,
Alè, Vesuvio Alè”
E’ solo l’ennesimo episodio di razzismo interregionale che ha colpito, tra le tante, la popolazione partenopea. Un odio becero e insensato che, esulando dal mondo calcistico, colpisce tutti gli abitanti di Napoli e non solo. Una guerra fratricida che colpisce non solo i napoletani, ma tutto il mondo calcistico e sociale italiano. Solo alcune settimane fa un’altra tifoseria aveva intonato cori razzisti nei confronti della tifoseria napoletana, questa volta ospite. I suppporters dell’Hellas Verona furono multati, per l’ennesima volta, con una sanzione di diverse migliaia di euro. C’è davvero una soluzione a questa volgare sceneggiata? In Inghilterra la “lady di ferro” Margaret Tatcher si impose con decisione e ridimensionò in maniera pesante il fenomeno “hooligans” ed ora, con una rinata cultura, il calcio inglese è diventato quello più appassionante, in cui tifosi di ogni genere possono assistere alla partita a due metri dai calciatori senza barriere e senza restrizioni. In Italia questa cultura è quasi assente e le partite spesso diventano degli spettacoli gladiatori dove le due tifoserie se le cantano di santa ragione. Nel nostro Paese la soluzione non è stata ancora trovata e, per quanti campioni e soldi entreranno, il nostro calcio resterà sempre uno spettacolo a metà, fermo da anni al primo atto.